Molti cittadini non sanno che in questi mesi si stanno discutendo riforme decisive per il futuro dell’Unione Europea. Se prevarrà ancora una volta la linea dell’austerità e del moralismo nei confronti del Sud Europa, è difficile immaginare che il progetto comunitario possa andare avanti.
Ecco perché il ruolo dell’Italia è fondamentale: siamo un Paese fondatore, la seconda potenza manifatturiera del continente e, a dispetto dei luoghi comuni, abbiamo fondamentali economici solidi. Se dal debito pubblico allarghiamo lo sguardo al debito privato, all’avanzo commerciale e alla ricchezza di famiglie e imprese, infatti, l’Italia non ha nulla da invidiare agli altri Paesi avanzati, anzi.
Eppure in Europa qualcuno vuole continuare a focalizzarsi solo sul debito pubblico, approfondendo regole e istituzioni costruite male e che andrebbero cambiate radicalmente.
Pensiamo al Meccanismo Europeo di Stabilità, conosciuto come MES (in inglese ESM). Si tratta di un’organizzazione internazionale attiva dal 2012 che dovrebbe assistere i Paesi europei in difficoltà finanziaria erogando prestiti e acquistando i titoli di Stato sul mercato primario. In cambio però il MES richiede riforme e correzioni macroeconomiche. Tradotto: tagli e sacrifici. Lo ha fatto già in passato con il Portogallo, con la Spagna e con la stessa Grecia.
Da qualche tempo l’Eurogruppo, la riunione informale dei Ministri delle Finanze dei singoli Paesi, sta studiando una riforma di questa organizzazione. Non però nella direzione di una maggiore solidarietà tra Paesi, ma di condizioni ancora più rigide per accedere agli aiuti finanziari e di un potere di sorveglianza sulle finanze pubbliche ancora più pervasivo.
In effetti ad oggi il MES non può decidere in solitaria quali sono le correzioni macro che i Paesi assistiti devono applicare. L’ultima parola è della Commissione Europea, che con tutti i suoi difetti rimane un organismo politico. Con la riforma studiata dall’Eurogruppo, invece, il MES avrebbe poteri di fatto esclusivi, emarginando la Commissione e rendendo tecnico un meccanismo che è profondamente politico.
Al nuovo MES, inoltre, potrebbero accedere solo gli Stati che rispettino tre condizioni molto rigide, tutte calibrate sul deficit e sul debito pubblico:
- un rapporto deficit/Pil non superiore al 3%;
- un saldo strutturale pubblico in pareggio o al di sopra del parametro di riferimento richiesto al singolo paese;
- un rapporto debito pubblico/Pil al di sotto del 60% o, in caso di valori superiori a tale soglia, che tale rapporto sia stato ridotto di 1/20 in media nei due anni che precedono la richiesta di aiuto finanziario.
Otto paesi dell’area euro, tra i quali l’Italia, non rientrano in questi parametri e non potrebbero quindi essere aiutati, a meno che non accettino di firmare un memorandum di impegni gravosi che di fatto corrisponderebbe ad un commissariamento del Governo e del Parlamento nazionale.
Nel vertice euro che seguirà il Consiglio europeo di oggi e domani il presidente Giuseppe Conte si troverà sul tavolo anche la riforma del MES. Ieri il M5S e la Lega hanno approvato alla Camera e al Senato una risoluzione di maggioranza in cui si chiede al Governo italiano di non votare (quindi di fatto porre il veto) ad una riforma di quel genere. Anche perché nel frattempo tutto tace su riforme altrettanto importanti come la garanzia europea sui depositi bancari e un fondo di stabilizzazione per aiutare le economie in difficoltà, due dossier sui quali pretendiamo rassicurazioni e passi in avanti immediati. O si portano avanti tutte e tre le riforme o non se ne porta avanti nessuna.
L’Europa dell’austerità è senza futuro. L’Italia finalmente va a Bruxelles a testa alta, facendo sentire le sue ragioni e cercando di salvare un progetto di pace e benessere che qualcuno sta tradendo.