In questi giorni dagli articoli dei giornali stanno venendo fuori i colloqui notturni in cui alcuni magistrati e alcuni politici concordavano su come spartire le poltrone dei più importanti uffici giudiziari d’Italia. Consiglieri del Csm – ormai quasi tutti dimessi – e due parlamentari del Pd. A quanto pare, si tratta solo di una minima parte di quanto gli investigatori hanno potuto registrare grazie ai nuovi strumenti forniti dalla legge “Spazzacorrotti”. E noi, come cittadini, vogliamo sapere tutto. Perché paghiamo i consiglieri del Csm affinché si occupino dei tanti problemi della giustizia. Paghiamo i politici per fare leggi e, se all’opposizione, affinché controllino la maggioranza. In un Paese civile si pubblica tutto, perché i cittadini hanno il sacrosanto diritto di sapere. E, come vuole la nostra Costituzione, hanno il diritto di essere correttamente informati.
Non ci interessa sapere delle faccende private delle persone, perché quello è un ambito che non c’entra col pubblico. Non ci interessa il taglia e cuci di frasi sparse per dimostrare le tesi di chi scrive. Non ci interessa sapere della singola frase estrapolata da un brogliaccio, senza che sia perfettamente contestualizzata. Ci interessa sapere ciò che ha rilevanza pubblica, ciò che è di interesse pubblico. E magistrati e politici che si incontrano di notte, in albergo, per monopolizzare il potere giudiziario, tramando alle spalle del Paese e degli organi preposti a ciò, è di interesse di tutti.
Secondo la giurisprudenza, ci sono tre condizioni a cui ci si deve attenere per una corretta informazione. L’utilità sociale dell’informazione; la verità dei fatti esposti (una verità oggettiva o anche solo putativa quando frutto di un serio e diligente lavoro d’inchiesta); la forma “civile” della esposizione dei fatti e della loro valutazione.
Quindi cari cronisti, attenetevi a queste tre pilastri e pubblicate tutto!