Maltrattata e vessata dalla coppia alla quale era stata affidata dai servizi sociali. E’ la terribile storia di Lucilla – il nome è di fantasia – strappata all’affetto della propria famiglia naturale e finita, suo malgrado, nell’inferno descritto dai magistrati titolari dell’inchiesta “Angeli e demoni”.
Una vicenda orribile, che ha origine con una telefonata fatta dalla piccola ai Carabinieri, qualche anno fa. Lasciata sola in casa dalla mamma mentre il papà – inconsapevole – è fuori per lavoro, Lucilla contatta il 112 chiedendo aiuto. A questo punto, constatato da parte dei militari lo stato di abbandono, vengono coinvolti immediatamente i servizi sociali, gli stessi finiti al centro dell’indagine portata avanti dalla procura di Reggio Emilia. In realtà, il papà – ignaro di tutto – avrebbe potuto prendersi cura della piccola senza troppi problemi, ma con l’intervento degli operatori sociali inizia un vero e proprio incubo.
Stando a quanto sostenuto dall’accusa, a partire da quel momento la bimba sarebbe stata sottoposta – tanto dagli psicologi quanto dalla coppia formata da due donne alla quale era stata affidata – ad una lunga serie di pressioni psicologiche. Come se non bastasse, gli stessi protagonisti della vicenda, avrebbero riferito circostanze non veritiere o comunque suggestive al consulente incaricato dal giudice di svolgere gli accertamenti, finendo per ingannarlo e trarre in così in inganno anche il magistrato. Solo per fare un esempio, malgrado la volontà di Lucilla di rivedere il padre, gli indagati avrebbero riferito alle autorità l’esatto contrario. Per giunta, nonostante la piccola non ne avesse fatto esplicito riferimento, gli psicologi avrebbero ricondotto certi suoi comportamenti a un presunto abuso sessuale subito in famiglia, omettendo elementi che avrebbero potuto condurre ad ipotesi alternative.
E se il metodo adottato per aiutare la piccola sembra essere – purtroppo – lo stesso contestato agli indagati anche negli altri casi finiti in procura, a rendere ancora più pesante la situazione di Lucilla sembrerebbe essere il trattamento ricevuto dalle affidatarie. In una circostanza, solo per fare un esempio, una delle due – intercettata – si sarebbe arrabbiata al punto di “sbattere” la bimba fuori dalla macchina, in un giorno di pioggia, solamente perché la piccola si rifiutava di dare ragione alla donna. Le vessazioni sarebbero arrivate al punto di proibire a Lucilla di tenere i capelli sciolti, perché considerato un segno di vanità. Infine, in almeno un caso, in un momento di tensione, avrebbero insistito affinché la minore facesse “nome e cognome” della persona che le aveva fatto del male in passato. A rendere ancora più torbide le tinte di questa drammatica vicenda c’è poi una circostanza particolare: entrambe le affidatarie avevano un rapporto di amicizia o sentimentale, pregresso, con la responsabile dei servizi sociali coinvolti. Anche questa, come tutte quelle raccontate in questi giorni dai giornali, è una bruttissima storia.
La giustizia farà il suo corso e, se i fatti saranno accertati, i responsabili saranno puniti per ciò che hanno fatto. Intanto, noi non rimaniamo certo con le mani in mano. Soprattutto quando si tratta di minori, bisogna intervenire con estrema rapidità su tutti i fronti. Le iniziative che abbiamo messo in campo in tema di tutela dei più piccoli sono tante e su altre siamo già a lavoro. Il nostro impegno, a partire dall’istituzione di una commissione di inchiesta ad hoc, è grande e ha un obiettivo preciso: impedire che quanto accaduto a Lucilla possa ripetersi in futuro.