Ecco perchè il salario minimo orario aiuta i lavoratori e le imprese

Nel nostro Paese 4,3 milioni di rapporti di lavoro, il 28,9% secondo quanto rilevato dall’Inps, è sotto la soglia minima di 9 euro lordi all’ora fissata dalla nostra proposta per l’istituzione del salario minimo orario. Numeri che, sempre secondo il nostro Istituto di Previdenza, crescono se si fa riferimento alle aziende di piccole dimensioni (quelle con meno di 10 addetti) dove i rapporti di lavoro al di sotto di 9 euro sono pari al 38%. Autisti, operai, camerieri, agricoltori sono tra i primi che beneficerebbero di una spinta verso l’alto dei salari così come previsto dal disegno di legge a mia firma, che una volta approvato garantirebbe loro un aumento del potere d’acquisto perduto.

Infatti, secondo uno studio della Fondazione Giuseppe Di Vittorio, tra il 2010 e il 2017 le retribuzioni medie del lavoro dipendente in Italia hanno subito una contrazione del 3,5%, con una perdita stimata di 1.059 euro. Vuol dire minori possibilità, per i lavoratori e le loro famiglie, di comprare beni e servizi. Il tutto mentre in Germania e Francia, nello stesso periodo di tempo, le retribuzioni medie crescevano – rispettivamente – di 3.825 euro e 1.898 euro. E ancora. “Dal 1993 al 2012 – hanno osservato Lorenzo Cappellari e Marco Leonardi su lavoce.info -, tutto l’aumento delle disuguaglianze è avvenuto nella parte bassa della distribuzione dei redditi. (…) I salari mediani e quelli dei lavoratori più ricchi non sono aumentati di molto in questi venti anni in termini reali, ma i salari dei lavoratori più poveri hanno perso terreno causando un allargamento della forbice dei salari nella parte bassa della distribuzione”. Un trend negativo che, giocofòrza, ha avuto riflessi negativi sulla produttività: non a caso, l’anno scorso l’Ocse ha segnalato come nel nostro Paese questa sia aumentata in media solo dello 0,14% all’anno tra il 2010 e il 2016.

È a tutto questo che, con il salario minimo orario, vogliamo e dobbiamo mettere fine. Restituire potere d’acquisto ai cittadini e di conseguenza aumentare la produttività sono due obiettivi da raggiungere nel più breve tempo possibile. Per l’Istat, con l’approvazione della nostra proposta quasi 3 milioni di lavoratori avranno un incremento medio annuo di retribuzione di 1.073 euro: un indispensabile punto di partenza per rilanciare i consumi e aiutare le imprese, anche attraverso il taglio del cuneo fiscale a cui stiamo lavorando di pari passo, a tornare a crescere.

In questi mesi i nostri detrattori ne hanno sparate di tutti i colori per contrastare il mio ddl, che molti, come traspare da quello che hanno detto e scritto, non hanno neanche letto. Così come, evidentemente, non hanno letto l’art. 36 della Costituzione rafforzato dal Pilastro europeo dei diritti sociali adottato dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione il 17 novembre 2017 a Göteborg, in Svezia. “I lavoratori – dice il sesto dei 20 punti – hanno diritto a una retribuzione equa che offra un tenore di vita dignitoso. Sono garantite retribuzioni minime adeguate, che soddisfino i bisogni del lavoratore e della sua famiglia in funzione delle condizioni economiche e sociali nazionali, salvaguardando nel contempo l’accesso al lavoro e gli incentivi alla ricerca di lavoro. La povertà lavorativa va prevenuta. Le retribuzioni sono fissate in maniera trasparente e prevedibile, conformemente alle prassi nazionali e nel rispetto dell’autonomia delle parti sociali”.

Altri Paesi hanno già adottato il salario minimo da tempo. Recentemente è toccato a Spagna (2004) e Germania (2015), ma nel Regno Unito, per esempio, questa misura c’è già dal 1909.

A dicembre 1912, su The Journal of Political Economy, Sidney Webb (uno dei “padri” delle relazioni industriali) pubblicò il saggio The Economic Theory of a Legal Minimum Wage. Nell’idea di Webb, “la mera esistenza di un salario minimo legale in tutti i settori promuove allo stesso tempo la selezione dei più efficienti fattori di produzione, l’adattamento funzionale progressivo a un livello più elevato”, e la loro combinazione dà come risultato “un modello più avanzato di organizzazione industriale”. Insomma, una misura che gli imprenditori devono considerare positivamente per contrastare il dumping salariale che provoca effetti distorsivi sul mercato.

È proprio lungo questa direttrice che si muove la nostra proposta, un atto di civiltà. Per troppo tempo il tema del salario minimo è stato relegato nel dimenticatoio. Con il MoVimento 5 Stelle al Governo del Paese tutto questo deve cambiare. Non c’è più tempo da perdere.