«È stato parimenti difficile. Siamo entrati nella trattativa con una prospettiva di apertura della procedura che molti sembravano dare per scontata. Ma rispetto a dicembre del 2018, stavolta il negoziato è avvenuto su basi diverse. Non si trattava di convincere la Commissione sull’efficacia e sulla sostenibilità della nostra manovra. Bisognava far capire che maggiori entrate e risparmi di spesa prefiguravano dati contabili diversi da quelli da loro elaborati. E alla fine siamo riusciti a far prevalere i nostri dati. Sono soddisfatto del risultato, perché abbiamo tutelato l’interesse degli italiani. Numeri alla mano, non c’erano i presupposti per aprire la procedura. È vero, è stato difficile. Ma abbiamo certificato ottimi risultati su entrate fiscali, lotta all’evasione e risparmi di spesa».
Rimane comunque l’impressione che l’Italia riemerga molto ridimensionata. Sulle nomine avete raccolto poco: tanto che i suoi due vice, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, non nascondono una certa delusione per gli equilibri che si sono creati.
«Bisogna essere realisti. Non siamo partiti avvantaggiati, perché non avevamo la sponda delle tradizionali famiglie politiche…».
C’è stato qualche errore o avete ottenuto il massimo?
«Mi sento di dire che l’Italia ha giocato al meglio le carte a disposizione, ottenendo il massimo risultato, date le condizioni».
Il ridimensionamento è evidente, non crede?
«Non condivido questa valutazione. Otterremo un portafoglio economico di peso, ragionevolmente abbinato alla vicepresidenza della Commissione. Se fosse un commissario alla Concorrenza, significherebbe poter svolgere un ruolo strategico. Non mi pare che nella legislatura appena conclusa avessimo strumenti e ruoli per incidere nel cuore delle politiche economiche».
Comunque erano italiani il presidente della Bce e quello del Parlamento, più la rappresentante della politica estera…
«La politica economica e finanziaria non la fanno nessuno dei tre. E, se ci riferiamo alla Banca centrale, Christine Lagarde, la nuova presidente, ha espresso una visione di politica monetaria assimilabile a quella di Mario Draghi. In più, con la presidenza francese possiamo aspirare a entrare nel board della Bce. Per l’Italia è più strategico avere un portafoglio economico di rilievo piuttosto che l’Alto rappresentante. Fa una bella differenza».
Non è stato un errore schierarsi col gruppo di Visegrad? Lei ha detto che Merkel e Macron alimentavano l’euroscetticismo. Ma avete ricompattato l’asse franco-tedesco.
«Credo che prima di dare certi giudizi occorrerebbe conoscere quali e quanti pericoli abbiamo scongiurato in questo processo decisionale. Non ritengo opportuno menzionare le singole candidature che sono state passate in rassegna e che anche io ho contribuito a superare, perché per varie ragioni ritenute non pienamente rispondenti agli interessi generali e italiani, in particolare. Mi limito a osservare che abbiamo contribuito a superare il criterio degli Spitzenkandidaten, quelli dei partiti maggiori, che ci vedeva penalizzati. Abbiamo coordinato il dissenso con altri 10 Paesi, e riorientato la partita ponendo le condizioni per avere un portafoglio economico abbinato a una vicepresidenza. E abbiamo evitato soluzioni alla Bce che nell’interesse dell’Italia potevano rivelarsi meno vantaggiose».
Traduzione: ci poteva andare peggio. Vuol dire questo?
«Bisogna avere contezza della posta in gioco. Sono emersi profili di candidati ispirati a dogmatismo rigorista, con sensibilità molto distanti dal nostro interesse nazionale: per la Commissione e per la Bce. Non bisogna guardare solo ai risultati ottenuti, ma anche a quelli scongiurati».
Il problema è come l’Italia continuerà la sua partita nella Commissione e nel board della Bce. C’è il problema di scegliere qualcuno che sia in sintonia con i nuovi equilibri.
«L’Italia per questo incarico può esprimere personalità di valore. Per ora non c’è una decisione. Garantisco che sarà all’altezza dell’alto ruolo di responsabilità».
Rimane la manovra finanziaria per il 2020. Presenteremo una flat tax in deficit?
«A Palazzo Chigi partirà nei prossimi giorni un tavolo di lavoro dedicato alla riforma fiscale che costituirà una delle priorità della prossima manovra. Ragionare ora sui dettagli e sui numeri complessivi è assolutamente prematuro. Posso solo dire che vogliamo farla bene. Efficace e incisiva. E ovviamente sostenibile sul piano finanziario».
«Il tema non è chi segue i dossier. Sicuramente, io insieme ai ministri competenti dobbiamo risolvere questi problemi. E cercheremo di raggiungere soluzioni condivise ed efficaci».
«Confermo. Come uomo di diritto, rispetto il ruolo del magistrato, anche se ritengo che i provvedimenti di un magistrato possano essere criticati e, se ritenuti ingiusti, impugnati. Rimane un dato che mi ha lasciato fortemente perplesso: il comportamento di chi fa un uso politico strumentale di vicende che coinvolgono vite umane, e ritiene che tra tanti porti del Mediterraneo, l’unico sicuro debba essere un porto italiano. Fino al punto di stazionare per oltre due settimane, e arrivare a forzare l’ingresso in un nostro porto».
Condivide la costruzione di un muro in Friuli per arginare l’immigrazione dalla Slovenia?
«C’è un problema di migrazione illegale su quel confine. E sicuramente nei prossimi giorni mi coordinerò col ministro Salvini per trovare soluzioni compatibili con le regole europee».
Non pensa di dover ringraziare questa Commissione Ue? Verso l’Italia è stata meno arcigna di quanto la sua maggioranza l’abbia accusata.
«Non ringrazio la Commissione per il risultato, perché è stato meritato dall’Italia. Ringrazio però alcuni commissari, a partire dal presidente Jean-Claude Juncker, per il dialogo costruttivo e la disponibilità al confronto».
La prospettiva che Salvini chieda di sostituirla a Palazzo Chigi è tramontata, per ora?
«È Ministro dell’Interno e leader di un partito: sono compiti e responsabilità già di per sé molto gravose e assorbenti».