Gianni Bisiach ha fatto la storia del giornalismo divulgativo italiano. La sera del 20 luglio 1969 era lì, allo studio 3 di via Teulada, a seguire la missione Apollo 11 che avrebbe portato i primi uomini sulla Luna, proprio durante la diretta durata la bellezza di 28 ore. Medico, già dagli anni ’50 fu tra i primi professionisti nella neonata Rai a credere in programmi e approfondimenti medico-scientifici. Soprattutto, fu il primo cronista ad occuparsi in Rai di Spazio, prima di passare il testimone a Tito Stagno.
“L’emozione era enorme: sulla Luna non era mai andato nessuno. Emozione mista a paura: non sapevamo cosa poteva accadere. Il LEM (Lunar Excursion Module, ndr) sarebbe potuto sprofondare nella sabbia, poteva esserci qualcosa di aggressivo, tanto che lo stesso Armstrong a posteriori dichiarò di esser partito col 50% delle probabilità di non tornare indietro da lì. Però i tre arrivati fin là erano consapevoli dei loro mezzi e dei loro studi, e ci consentirono di raccontare e di vivere qualcosa di eccezionale”.
“Un piccolo passo per me, un grande passo per l’umanità” – furono le parole che Armstrong consegnò alla storia. A distanza di mezzo secolo, cosa ha rappresentato quell’esperienza per Lei?
“Quel giorno si ruppe ogni barriera mentale. Eravamo miliardi di uomini tutti con gli occhi puntati lì, tutti piccoli – senza distinzioni – di fronte alla grandezza della missione. L’applauso che scattò per quel passo di Armstrong accomunò l’intera umanità”.
Cosa cambiò?
“Sapevamo che il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Però mi resi conto più tardi di quanto fu straordinaria quella vicenda: quando andai sulle Isole Samoa, nel Pacifico, dove l’equipaggio ritoccò la terra. Non era scontato: da quel momento cominciò la vera avventura dell’uomo nello spazio. Da quel giorno l’impossibile diventò in parte possibile. Ci rendemmo conto che il tempo, apparentemente invincibile, si poteva invece vincere con la velocità”.
Tutto questo grazie a innovazione, studio e sviluppo.
“In tema di innovazione, quell’impresa fu un “Big Bang” che condizionò centinaia di missioni negli anni seguenti, e che diede il polso delle potenzialità sterminate che la tecnologia poteva avere ad ogni livello. La spinta nell’avanzamento scientifico di quel giorno fa sentire la sua forza ancora oggi: si pensi soltanto a quanto è cambiata la velocità degli spostamenti e delle nostre comunicazioni di ogni tipo. Quell’esperienza ci fece capire ancor di più l’importanza del progresso tecnologico per i nostri destini”.
Eppure oggi c’è chi parla di un eccesso nell’utilizzo della tecnologia.
“La tecnologia va sempre sostenuta perché è diretta emanazione dell’intelligenza dell’uomo. E’ vero che esistono e sono sempre esistite due tecnologie: una di pace e una di guerra. In tanti paesi si investe tantissimo per dispositivi e invenzioni che potrebbero portare alla distruzione del genere umano. Le guerre, da sempre, sono state segnate dal progresso tecnologico. Oggi, per esempio, con la tecnologia potremmo annientare il pianeta. Eppure siamo ancora qui, perché alla fine l’intelligenza dell’uomo, che genera saggezza e sapienza, vince sempre sulla follia. E vincerà ancora.
A 92 anni, cosa sono oggi innovazione e tecnologia per Gianni Bisiach?
“Qualcosa di formidabile: innovare ci consente di sviluppare la nostra intelligenza. Invidio i ragazzi di oggi, che grazie alla tecnologia e all’innovazione hanno possibilità infinite e infatti sono più informati, creativi, estrosi e in molti casi persino consapevoli del mondo davanti ai loro occhi rispetto a quanto lo eravamo noi da giovani. Negli anni ’50 la tv era il simbolo dell’innovazione tecnologica. Oggi invece tra pc, telefonini e altri strumenti, i simboli si sono moltiplicati. E con essi le opportunità per l’uomo”.
C’è oggi un’impresa apparentemente impossibile che si potrebbe tentare come accadde in quel 20 luglio 1969?
“La vita mi ha insegnato una cosa: ciò che oggi è impossibile, grazie allo studio e al progresso domani può diventare possibile. Quindi tutto, potenzialmente, si può tentare”.