Ieri abbiamo raggiunto un risultato storico, nel silenzio di giornali e tv.
Ricorderete il federalismo comunale, realizzato a partire dal 2011. Si trattava di premiare le specificità territoriali, garantendo ai comuni autonomia tributaria. Naturalmente però non tutti i comuni hanno la stessa capacità fiscale, perché un comune del Sud Italia o un piccolo comune tendenzialmente riscuotono meno imposte di un grande comune nordico, dove il reddito medio dei cittadini è più alto. Ecco allora che veniva in soccorso il Fondo di Solidarietà Comunale. Dal 2015, infatti, si sono cominciati ad applicare criteri di riparto delle risorse di tipo perequativo, basati sulla differenza tra capacità fiscali e fabbisogni standard dei singoli comuni per l’assegnazione di quote via via crescenti.
In quel Fondo parte del gettito fiscale di tutti i comuni andava a finanziare i servizi dei comuni più bisognosi. Il problema è che per stabilire quanti soldi dovessero andare ai singoli comuni bisognosi (i cosiddetti Fabbisogni Standard) si prendevano a riferimento variabili molto discutibili.
La Commissione Tecnica Fabbisogni Standard, presieduta fino al 2016 dal deputato del PD Luigi Marattin, stabilì ad esempio che se un Comune non era riuscito a garantire il servizio asilo nido negli anni precedenti, aveva un fabbisogno per gli asili nido pari a ZERO. Si prendeva a riferimento la spesa storica di quel Comune per negare a migliaia di bambini e alle loro famiglie un servizio pubblico fondamentale. Chi nasceva in un comune ricco poteva usufruire degli asili nido, chi nasceva in un comune povero no, e lo Stato cristallizzava questo divario contravvenendo all’articolo 3 della Costituzione, che al secondo comma afferma un principio fondamentale: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Con noi al governo le cose sono cambiate e ieri abbiamo portato a termine un lavoro iniziato fin dai primi mesi di legislatura. Non ci sarà più nemmeno un comune con fabbisogno ZERO per gli asili nido. Insieme alla Commissione Tecnica Fabbisogni Standard e al suo nuovo Presidente Giampaolo Arachi si è deciso che va garantito a chiunque un livello minimo di fabbisogno, in una forbice che va dal 7% dei bambini tra 0 e 2 anni residenti nel comune e il 28%, anche a seconda della dimensione dell’ente. Per migliaia di comuni, del Sud ma anche del Nord, significa ricevere risorse che prima non avevano per poter garantire un servizio da non sottovalutare. Poter contare sull’asilo nido incentiva le donne al lavoro, con ricadute positive su tutta l’economia.
Questa grande vittoria, di cui vado orgogliosa e che non sarebbe mai stata raggiunta senza la pressione del M5S, è solo il primo passo. In ballo infatti ci sono i cosiddetti Livelli Essenziali di Assistenza (LEP), richiamati nella Costituzione. Prima di attuare qualsiasi forma di maggiore autonomia la politica dovrebbe decidere un livello essenziale per ogni servizio pubblico sotto il quale nessun ente territoriale potrà mai andare. Tutti i cittadini devono godere almeno di quel livello, indipendentemente dal luogo in cui risiedono. La bella notizia di ieri, quindi, è una meravigliosa pezza con la quale abbiamo coperto il buco del federalismo comunale targato PD, ma non basta. Il M5S pretende che si calcolino al più presto i LEP, anche nell’ottica del federalismo regionale in discussione in questi mesi. Qualcuno infatti vorrebbe realizzare l’autonomia differenziata di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna senza tener conto della solidarietà nazionale, rischiando di spaccare definitivamente il Paese in due. Noi non ci muoveremo da alcuni paletti fondamentali, e i LEP sono uno di quelli.