Il partitone dei supporter della Torino-Lione vede schierati dalla stessa parte Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Partito Democratico, larga parte degli economisti, il grosso della stampa (sui “giornaloni” analisi distanti dal pensiero unico sono ormai bandite) Confindustria, banche e oltranzisti del cemento. E naturalmente gruppi d’affari francesi, che hanno risposto subito “presente” agli avis de marché.
Soltanto il Movimento 5 Stelle non è mai salito sul treno nel quale oggi troviamo stipati i tantissimi “ultras” del Tav. Diversi tra loro solo in apparenza, ma in realtà uguali nel fanatismo a sostegno di un’opera inutile, dannosa, antidiluviana e dai costi tutt’altro che certi.
MA SIAMO SOLTANTO NOI A PENSARLA COSÌ?
Se riavvolgiamo il nastro e torniamo ai primi anni duemila, scopriamo cose sorprendenti. Quando il MoVimento 5 Stelle era ancora lontano dal vedere la luce, c’era in realtà un partito che più di ogni altro sollevava dubbi su questa ferrovia, già allora ritenuta obsoleta.
Sembra incredibile, ma quel partito era la Lega.
Proprio quella Lega che oggi gongola all’idea del grande tunnel nella montagna, all’epoca eleggeva una lunga sfilza di sindaci e consiglieri comunali anti-Tav nella valle, al grido di “quel buco non s’ha da fare!”.
L’europarlamentare Mario Borghezio prendeva parte alle manifestazioni contro l’opera. E le ragioni dei movimenti No Tav venivano sposate persino da dominus del Carroccio del calibro di Roberto Maroni. “Questi cittadini non sono no global. La protesta della Val Susa non va ignorata, bisogna comprendere le ragioni della gente. Il problema non si risolve con strumentalizzazioni o con l’intervento delle forze dell’ordine” sosteneva in un’intervista su “La Padania”, datata 7 dicembre 2005, l’allora ministro del Welfare del governo Berlusconi. A fargli eco c’era Roberto Cota, a quei tempi segretario regionale del partito di Bossi. In quella Lega, tra le figure emergenti, giocava già un ruolo importante l’europarlamentare Matteo Salvini.
COSA È SUCCESSO POI?
Folgorati sulla via di Lione, i big del Carroccio (Salvini incluso) sono diventati dall’oggi al domani sostenitori infaticabili del grande buco. Persino il già citato Cota, all’improvviso, si è scoperto fan del tunnel una volta eletto governatore del Piemonte.
E’ chiaro, dunque: il treno degli “sfegatati” della Torino-Lione pullula di voltagabbana. Tra questi ultimi, il ruolo di capo-treno spetta di diritto all’ex segretario del Pd Matteo Renzi.
Ma andiamo con ordine, a livello locale gli anti-Tav negli odierni Dem esistono da prima che il Pd nascesse. Molti sindaci, oltre a consiglieri regionali e comunali, nell’era dei Ds furono eletti proprio per le loro posizioni di opposizione al Tav. Anche dopo la nascita del partito veltroniano, il Pd brulicava di No Tav. Era No Tav l’ex sindaco di Susa, erano No Tav assessori a Venaus, erano No Tav membri della segreteria provinciale. Tutti con tessera Pd. A livello nazionale, era contrario al treno l’ex sindaco di Bari Michele Emiliano, che di lì a qualche anno si sarebbe candidato addirittura alla Segreteria Nazionale del Partito. Ma soprattutto, era No Tav lui: il rottamatore, l’astro nascente dei Dem. “La Tav? Non è un’opera dannosa, ma inutile. Soldi impiegati male. Rischia di essere un investimento fuori scala e fuori tempo”. Copyright Matteo Renzi, anno 2013, nel libro “Oltre la rottamazione”.
Una volta diventato leader del partito, e a seguire capo del governo, la piroetta all’indietro: Renzi diventa indefesso difensore della Torino-Lione. Anzi, di più: giocando di sponda con i piemontesi Fassino e Chiamparino, brandisce la bandiera di capo-popolo SìTav, ergendosi a nuovo alfiere del partito del cemento.
Ed è in odore di carpiato all’indietro anche Carlo Cottarelli, l’ex commissario alla spending review chiamato sei anni fa da Letta a sforbiciare le spese dello Stato. “Due opere – la nuova Torino-Lione e la linea Napoli-Bari – mostrano flussi di traffico, attuali e prospettici, così modesti da poter escludere che sia opportuno realizzarle nella forma prevista” – scrisse il pluridecorato economista. Salvo poi ritrattare più volte seduto sui sofà televisivi, dove ormai è di casa: “Forse costa più non farla che farla”.
Ecco, sul treno dei fondamentalisti del Tav, affollato di voltagabbana, il Movimento 5 Stelle non ci è mai salito. E non ha intenzione di salirci ora.
Abbiamo presentato una mozione in Senato: nel Parlamento sovrano vedremo chi darà il disco verde a questo treno che viaggia già fuori dalla storia.