Anche l’agricoltura, come gli altri settori produttivi, si sta interrogando sul proprio impatto sull’ambiente, dall’uso della chimica al ricorso alle fonti energetiche fossili fino all’utilizzo massiccio della plastica, in gran parte usa e getta.
Già, perché spesso non si riflette su quanto la plastica sia presente in questo settore, da quella utilizzata per le serre a quella della pacciamatura, dai serbatoi alle tubazioni per l’irrigazione, dalle corde ai vasi alle cassette e su su fino agli imballaggi in cui troviamo confezionate frutta e verdura nei banchi dei supermercati.
Anche in questo ambito però la campagna plastic free ha fatto breccia perché i consumatori cominciano a premiare – almeno sugli scaffali del supermercato – quelle imprese agricole che mostrano attenzione per l’ambiente e riducono a tutti i livelli l’impatto ambientale dei loro prodotti. Basta pensare che, secondo alcune stime, ogni anno si vendono 500 milioni di vasi di plastica e vassoi per semi, che impiegano fino a 450 anni per biodegradarsi.
L’Italia è pioniera, ad esempio, nella sperimentazione del ricorso a plastiche derivanti da materiali organici nella pacciamatura, vale a dire la copertura del terreno con materiali che impediscano la crescita di erbe infestanti. Se molti agricoltori già fanno ricorso a vecchi cartoni, legna essiccata e altre soluzioni fai da te, recentemente FederBio e Assobioplastiche hanno siglato un protocollo di intesa per favorire l’impiego di “bioteli” degradabili e compostabili in agricoltura biologica. Questi teli certificati da uno standard europeo si decompongono in un paio d’anni senza lasciare, come avviene per i teli “tradizionali” tracce di microplastiche nel terreno. In questo modo si uniscono i benefici offerti dalla “chimica zero” delle colture bio quelli offerti da materiali che non contaminano il terreno e anzi lo nutrono.
Molto interessante, per restare in Italia, anche il progetto Pha-star, che grazie a un intenso lavoro di ricerca ha sviluppato dei biopolimeri utilizzando sottoprodotti di scarto della filiera lattiero-casearia lombarda. I ricercatori hanno realizzato plastiche biodegradibili con l’utilizzo di microgranuli ottenuti dalla fermentazione batterica alimentata dal siero di latte, in parte scartato dalla filiera industriale come rifiuto speciale. Quello che quindi rappresentava uno scarto e un costo in fase di smaltimento diventa un nuovo materiale, un prodotto da utilizzare in agricoltura e non solo. Un perfetto esempio di economia circolare.
Ma gli esempi di applicazione del plastic free sono tanti in Italia e in giro per il mondo. Si pensi ai tanti agricoltori che hanno abolito il ricorso ai legacci di plastica in agricoltura, utilizzando cordini in fibra naturale o addirittura completamente biodegradabili e compostabili.
Anche sull’irrigazione è in corso una forte riflessione, soprattutto finalizzata a eliminare i tubi di irrigazione usa e getta, puntando sulle nuove tecnologie, sulla cosiddetta agricoltura di precisione e in alcuni casi sull’irrigazione che fa prevalente o esclusivo ricorso all’acqua piovana, risparmiando dunque allo stesso tempo acqua e plastica grazie all’utilizzo dell’umidità residua del terreno durante la stagione secca.
Le alternative dunque ci sono e si fanno sempre più strada, soprattutto grazie alla sempre più diffusa disponibilità di bioplastiche. Vasi, contenitori per semi e germogli e gli stessi prodotti messi sul mercato sostituiscono la plastica usa e getta derivante dal petrolio con materiali biodegradabili e compostabili, ancora meglio se prodotti con scarti e non con vegetali destinati all’alimentazione.
Così anche l’agricoltura riduce la sua impronta ecologica all’insegna del plastic free.