di seguito l’articolo di Andrea Ossino de “Il Tempo”:
La legge «spazzacorrotti» e il processo Mafia Capitale: un binomio capace di far tremare politici, funzionari e imprenditori che fino a qualche settimana fa erano certi di non finire in galera. La nuova norma sarà applicata nel processo in Cassazione che si apre domani: se le condanne saranno confermate, per i colpevoli si apriranno le porte del carcere.
La legge «spazzacorrotti» e il processo Mafia Capitale: un binomio capace di far tremare politici, funzionari e imprenditori che fino a qualche settimana fa erano certi di non finire in galera. Il tutto all’ombra di un verdetto della Corte Costituzionale che potrebbe bocciare la nuova norma e i suoi effetti. L’ex presidente dell’assemblea capitolina Mirko Coratti, l’allora mini sindaco di Ostia Andrea Tassone e il «re» dei camion bar con un passato da numero due del Consiglio comunale di Roma, Giordano Tredicine. E poi l’ex brigatista Emanuela Bugitti, i funzionari Mario Cola e Claudio Turella e tanti altri.
Sono in molti a temere per l’imminente pronuncia della Cassazione sulla Mafia della Capitale. Perché con l’introduzione delle nuove «misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici», la cosiddetta legge «spazzacorrotti», il 31 gennaio scorso sono cambiate le regole del gioco. In pratica, al passaggio in giudicato della sentenza la Procura potrebbe dare immediata esecuzione alla pena detentiva, precludendo agli eventuali condannati la possibilità di richiedere e usufruire di misure alternative al carcere, come l’affidamento in prova ai servizi sociali o gli arresti domiciliari. In altre parole: molti imputati che al processo Mondo di Mezzo sono accusati di corruzione rischiano di andare in galera.
Tra questi ci sono l’ex presidente dell’Assemblea Capitolina, Mirko Coratti, condannato in appello a 4 anni e 6 mesi con l’accusa di corruzione aggravata in relazione a un finanziamento che l’associazione «Rigenera » avrebbe ricevuto, secondo gli inquirenti, per favorire le cooperative del patron della «29 Giugno» Salvatore Buzzi. Poi c’è Pierpaolo Pedetti, ex consigliere comunale del Pd condannato in secondo grado a 3 anni e 2 mesi. E ancora Giordano Tredicine, l’esponente del Pdl che dai camion bar di famiglia è approdato, con circa 5 mila voti, alla presidenza della Commissione Politiche Sociali e alla vicepresidenza dell’assemblea capitolina. In appello è stato condannato a 2 anni e 6 mesi. E se la Cassazione dovesse confermare la sentenza potrebbe andare in carcere. Proprio come l’ex minisindaco di Ostia, Andrea Tassone, condannato in appello a 5 anni per aver concesso, secondo l’accusa, due appalti alle coop di Buzzi in cambio di denaro. Tra gli imputati che rischiano gli effetti della «spazzacorrotti» c’è anche l’ex brigatista con un ruolo nella cooperativa «29 Giugno», Emanuela Bugitti: condannata in appello a 3 anni e 8 mesi. E poi Mario Cola (3 anni in appello), dipendente del dipartimento patrimonio del Comune. E l’ex consigliere comunale Franco Figurelli, che per i giudici di secondo grado dovrebbe scontare 4 anni. Anche il «padreterno della Regione», come Buzzi definiva il dirigente Guido Magrini, potrebbe subire gli effetti della nuova norma se la condanna a 3 anni di reclusione inflitta in appello dovesse essere confermata.
E ancora il manager di Eurspa Carlo Pucci (7 anni e 8 mesi) e il collaboratore di Luca Odevaine, Mario Schina (4 anni in appello). Curiosa la vicenda che si snoda intorno a Odevaine. Il 24 gennaio scorso, pochi giorni prima dell’entrata in vigore della «spazzacorrotti», l’ex componente del Tavolo tecnico sull’immigrazione al Ministero dell’Interno ha concordato la pena in appello, dopo aver ammesso le sue responsabilità e aver patteggiato altre condanne. Il suo legale, Luca Petrucci, non ha presentato il ricorso in Cassazione: la condanna di Odevaine è definitiva. Quindi, per pochi giorni, è stata applicata la vecchia legge.
Invece Claudio Turella, ex funzionario dell’Ufficio Giardini, ha preferito rivolgersi alla Cassazione dopo aver concordato la condanna in appello. Ma così facendo adesso potrebbe essere sottoposto alle nuove e più rigide regole. Il condizionale è necessario. Occorrerà infatti che la Cassazione confermi la tesi dell’accusa. Non basta: perché non è detto che gli «Ermellini» decideranno di applicare la nuova legge, considerando anche la presumibile insurrezione delle difese contro il principio retroattivo della norma. Gli avvocati potrebbero ad esempio sostenere che una nuova legge non può essere applicata a reati commessi prima della sua entrata in vigore. Inoltre la Procura, come accaduto in altre città italiane, potrebbe anche decidere di attendere il verdetto della Corte Costituzionale prima di rendere la sentenza esecutiva. Infatti, quasi tutti i penalisti che difendono gli imputati menzionati, in caso di una sentenza sfavorevole, pensano a un eventuale ricorso che consenta la sospensione dell’esecutività delle sentenza, in attesa di capire la legittimità costituzionale della norma.
Leggi, cavilli, ricorsi e verdetti dei giudici: situazioni giuridicamente complesse sulle quali si gioca l’imminente permanenza in carcere o meno di molti imputati, gli stessi che fino a qualche anno fa occupavano le stanze del potere della Capitale.