Nelle ultime settimane, in maniera quantomeno acritica, molti giornali e TV hanno dato spazio alle posizioni di chi nega il contributo determinante delle attività umane al cosiddetto cambiamento climatico mettendo in discussione la serietà dell’allarme lanciato da organismi internazionali come l’IPCC e dagli attivisti per il clima, tra cui i tanti giovani che si sono mobilitati per i Fridays For Future.
Lasciamo da parte per un momento il fatto che si dia lo stesso spazio e risalto mediatico a chi esprime posizioni che rappresentano il punto di vista di una piccola minoranza di scienziati mettendolo sullo stesso piano con chi rappresenta il punto di vista della quasi totalità della comunità scientifica: questa è una questione che riguarda il sistema dell’informazione nel nostro Paese che pure va affrontata. Ora però parliamo della crisi climatica.
È vero che la temperatura media del Pianeta aumenta più del previsto? Abbiamo elementi per affermare che questo si ripercuote già oggi sulla nostra vita quotidiana? Ci sono i presupposti per “fare con calma” o dobbiamo agire subito per provare ad arginare quest’aumento di temperature e adattarci ai cambiamenti che essi determinano? Abbiamo deciso di provare a individuare le risposte analizzando i dati, separando, come affermano di voler fare certi media, i fatti dalle opinioni e lasciando aperta qualche domanda.
Dato numero 1: il mese di luglio 2019 è stato classificato dall’Organizzazione meteorologica mondiale come il più caldo dal 1880, da quando cioè si hanno rilevazioni climatiche sistematiche. Se 9 dei 10 mesi di luglio più caldi di sempre si sono concentrati dal 2005 ad oggi è un caso fortuito o si può intravedere una tendenza?
Ma passiamo agli eventi meteorologici: l’estate del 2019 in Italia ha fatto segnare ben 760 tra grandinate, trombe d’aria e nubifragi: il doppio (+101%) rispetto allo stesso periodo dell’anno 2018 secondo dati ESWD, la banca dati europea sugli eventi estremi.
L’Associazione nazionale dei consorzi di bonifica (ANBI), citando i dati CNR, sottolinea che le aree a rischio desertificazione in Sicilia sono ormai il 70%, nel Molise il 58% in Puglia il 57%, in Basilicata il 55 mentre in Sardegna, Marche, Emilia-Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania sono comprese tra il 30 e il 50% dei suoli disponibili. E il Nord del Paese non è certo immune: a Chioggia si contano ad esempio 20.000 ettari agricoli a rischio desertificazione causata dalla risalita del cuneo salino, cioè l’ingresso dell’acqua di mare nell’entroterra delle province di Padova e Venezia. Secondo le prime risultanze del rapporto sui cambiamenti climatici nel Mediterraneo, in via di pubblicazione, a breve 250 milioni di persone saranno in condizioni di insicurezza idrica e, con 20 cm di innalzamento, il Mare Nostrum allagherà Venezia e l’Egitto, dove potrebbe andare in tilt il sistema agricolo.
Dalle acque all’aria: l’ozono ha raggiunto i massimi storici da quando viene rilevato. In buona parte della Pianura Padana e in molte aree urbane nazionali sono stati superati il limite soglia di informazione (180 microg/metro cubo) e il limite di allarme per la salute (240), con un incremento medio del 25% dal 2018.
Se sul fronte sanitario i rischi aumentano, diamo uno sguardo a quello della sicurezza alimentare. Il miele prodotto in Lombardia si è dimezzato in un anno, soprattutto per il caldo. La frutta ha visto il raccolto ridursi in media del 50% in Pianura Padana per il caldo e per la proliferazione di insetti, come la cimice asiatica, il cui arrivo alle nostre latitudini è favorito dal clima più caldo.
Gli incendi di quest’estate in tutto il mondo (Amazzonia, Siberia, Africa, ecc) non fanno presagire purtroppo un 2020 migliore, anche in relazione all’ulteriore accumulo di gas serra in atmosfera prodotti dalla combustione delle foreste. È un fatto, non un’opinione, che i gas serra rilasciati abbiano innescato un processo peggiorativo, così come è un fatto che senza ridurre drasticamente le emissioni non si possono prevedere miglioramenti né sul fronte degli eventi meteorologici estremi né degli incendi e tantomeno dei raccolti ridotti al lumicino e dei rischi sanitari.
Le ondate di calore sempre più ravvicinate e intense tendono ad aumentare il rischio di malformazioni congenite e a mettere a rischio il futuro stesso della nostra specie. Le emissioni locali hanno anche un impatto locale, quindi è scorretto dire “tanto anche gli altri emettono” e lavarsene le mani: si agisce localmente per produrre conseguenze sia localmente che globalmente.
Ma torniamo ai dati: bisogna ricordare che, oltre all’aspetto climatico, le emissioni in atmosfera producono danni molto gravi: tumori, malattie respiratorie e cardiovascolari, malformazioni congenite. Chi ha stimato l’impatto economico di queste esternalità (ECBA project) ha certificato un valore di oltre 48 miliardi di euro all’anno per l’Italia. Tanto ci costano ogni anno l’economia fossile, le discariche e gli inceneritori e tutte le emissioni inquinanti che producono le nostre abitazioni, gli allevamenti intensivi, il traffico, l’industria e così via.
È necessario avere stime istituzionali su questi aspetti.
Anche perché lo Stato (secondo le stime del Ministero dell’ambiente) spende oltre 16 miliardi in sussidi ambientalmente dannosi, cifra che va a sommarsi a quella delle esternalità sanitarie, vale a dire i costi affrontati per curare le persone che “si ammalano di inquinamento”. L’esistenza di questi sussidi che supportano l’attività di impianti e settori dannosi per gli ecosistemi e la salute fa sì che non sia conveniente per le imprese trasformare le proprie attività in chiave ecocompatibile, magari utilizzando quegli stessi sgravi o incentivi economici per favorire la riconversione. Per questo è importante che questo governo si sia impegnato a eliminarli gradualmente e a sostituirli con delle premialità per chi produce nel pieno rispetto dell’ambiente.
Dobbiamo approfondire lo studio e l’analisi del cambiamento climatico in Italia, decidere i criteri e le priorità nella necessaria opera di riduzione delle emissioni in atmosfera, disegnare scenari occupazionali ed economici dei modelli a basse emissioni per poi perseguirli con convinzione. Affrontare la crisi climatica significa progettare e realizzare una chiara idea di futuro mettendo insieme tutte le energie della società: politica, impresa, associazioni e singoli cittadini.
Noi italiani abbiamo l’enorme vantaggio di poter puntare sul sole e sulla nostra straordinaria capacità di innovare: non ci resta che dare retta ai numeri (anche quelli che prevedono tassi di occupazione record legati all’economia pulita) e imprimere finalmente la svolta green alle nostre pratiche quotidiane e alle politiche a tutti i livelli istituzionali.
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