Più caldo, più acido e più inospitale per le specie che lo abitano. Le conseguenze della crisi climatica sul mare sono più gravi di quanto si temesse in passato: gli oceani hanno assorbito oltre il 90% del calore in eccesso in virtù del surriscaldamento globale e rischiamo di essere la prima vittima del clima che cambia repentinamente destabilizzando non solo i flussi metereologici ma anche quelli marini.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Ipcc, il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico che si occupa di studiare il riscaldamento globale, entro il 2100 “l’oceano assorbirà da 2 a 4 volte più calore rispetto all’intervallo compreso dal 1970 ad oggi”. E alla fine di questo secolo il livello del mare potrebbe aumentare di più di un metro, due metri negli scenari più pessimistici, rispetto a oggi, se non riduciamo sensibilmente le emissioni globali di CO2. Il trend tra il 2007 è il 2016 è stato infatti di un aumento di 4 millimetri l’anno.
Oceani più caldi significa anche acque più acide e con meno ossigeno: questo genera effetti a catena sul mondo animale e vegetale che li popola.
Rispetto all’inizio dell’età industriale l’acidità è aumentata del 26% a livello globale e anche nel Mediterraneo si cominciano a manifestare le conseguenze, con specie che rischiano di estinguersi e nuove specie originarie dai mari più caldi che migrano alle nostre latitudini.
“La riduzione delle emissioni di gas serra limiterà gli impatti sugli ecosistemi marini che ci forniscono cibo, sostengono la nostra salute e modellano le nostre culture”, ha affermato Hans-Otto Pörtner, co-chair del Working Group II dell’Ipcc. “Ridurre le altre pressioni, come l’inquinamento, aiuterà ulteriormente la vita marina a gestire i cambiamenti che avvengono nel suo ambiente, consentendo nel contempo un oceano più resiliente”.
Cosa può fare la politica? Per Hans-Otto Pörtner “politiche quadro, come quelle per la gestione della pesca e delle aree marine protette, offrono alle comunità opportunità di adattarsi ai cambiamenti e di minimizzare i rischi per i nostri mezzi di sussistenza”.
Quello che chiede la comunità scientifica è di mettere il mare al centro dell’agenda politica. Nel frattempo, L’Italia si porta avanti in questo campo con la legge #Salvamare approdata ora al Senato dopo essere stata approvata alla Camera. Per la prima volta, il Parlamento approverà una legge a tutela dei mari, fiumi e laghi. Un piccolo grande passo che mira a difendere gli ecosistemi marini sempre più soffocati dalla plastica e dai rifiuti, elementi di forte criticità che spesso si aggiungono alle conseguenze del cambiamento climatico contribuendo a compromettere pesantemente l’ecosistema marino.
Un altro importante passo messo in campo dal Governo e fortemente voluto dal Movimento 5 Stelle sarà la conversione in legge del decreto Clima messo a punto dal ministro dell’Ambiente Sergio Costa. Il decreto darà un forte impulso alla riduzione delle emissioni e alla conversione in chiave ecologica della nostra economia, incentiverà la vendita dei prodotti sfusi e la riduzione del quantitativo di plastica e imballaggi nelle nostre case e nelle discariche, puntando su database ambientali finalmente accessibile e più alberi nelle città.
Quando parliamo di innalzamento degli oceani, dobbiamo pensare che le conseguenze non riguardano soltanto lontane località esotiche e le isole come le Maldive che entro la fine del secolo potrebbero finire sommerse. Oltre un quarto della popolazione mondiale vive a meno di 100 km dalla costa e a meno di 100 metri sul livello del mare: tra queste 17 città con una popolazione di almeno 5 milioni di abitanti. Tra città costiere sommerse, eventi meteorologici estremi, acqua di falda che viene ‘contaminata’ da quella salata dei mari che avanzano e mare meno pescoso, a cambiare non sarà soltanto la geografia ma anche la vita di miliardi di persone.
Difendere il mare fronteggiando le conseguenze del cambiamento climatico significa dunque difendere le nostre città, significa difendere la biodiversità e tutto quello che di buono essa produce per gli esseri umani, a cominciare dalla pesca e dal cibo in generale. Tante ragioni in più per puntare tutto su un’economia e una società che facciano dell’ambiente la chiave di volta su cui costruire nuove opportunità di benessere e occupazione, salvando il Pianeta ma soprattutto la nostra specie.