La crisi climatica, quella che rischia di esporre anche il nostro Paese a serie conseguenze, è già qui. Ed ora per affrontarla non dobbiamo e non possiamo aspettare il 2050, quando sarà troppo tardi. Se prima per affermarlo guardavamo ai poli del globo terrestre, ora ce lo dice anche il ghiacciaio di Planpincieux, sul Monte Bianco, che frana di 60 cm al giorno a causa delle alte temperature.
Ce lo dice la notizia che il comune di Visso, in provincia di Macerata, a 3 anni dal terremoto è rimasto senza acqua sia per i cittadini che per l’unica fabbrica rimasta a dare lavoro.
Ce lo dice la crisi idrica che ha colpito il nostro Paese nel 2017, insieme ai tanti disservizi e alle difficoltà registrate in Italia nella torrida estate appena passata, in cui bastava soffermarsi sulle pagine dei giornali locali per tracciare una mappa di disservizi e razionamenti che si estendeva per tutto il Paese. Ogni estate è la stessa storia, l’acqua scarseggia e se non basta nelle località turistiche che si riempiono di villeggianti; a volte non è sufficiente neanche per i cittadini che si vedono costretti a ricorrere alle autobotti e a penalizzare le proprie attività commerciali.
Il problema è globale: l’acqua salata dei mari che si innalzano contamina le falde. Il suolo edificato, complice la violenza dei fenomeni meteorologici, non assorbe abbastanza pioggia per rinnovare le riserve d’acqua dolce; le temperature sempre più elevate compromettono la quantità e la qualità dell’acqua disponibile.
Recentemente, il Ministro australiano della Siccità e delle Risorse idriche, David Littleproud, dopo un primo tentennamento ha riconosciuto che il peggioramento della siccità è legato “totalmente” ai cambiamenti climatici. E tanti altri governi nel mondo stanno ricorrendo ai ripari per salvaguardare la risorsa più preziosa.
Anche in Italia abbiamo iniziato a farlo, mettendo mano al reperimento di fondi per le infrastrutture idriche spesso vecchie, se non danneggiate o addirittura mancanti. Ora che ci prepariamo alla stagione fredda, però, non c’è da stare sereni. Lo scorso inverno infatti è stato il quarto più caldo di sempre, con un +0,84 gradi rispetto alla media del ventesimo secolo. E le conseguenze sono state pesanti: se si considera che al Lago Maggiore mancavano all’appello 300 milioni di metri cubi di acqua, che nelle Marche il livello degli invasi è sceso sotto la media stagionale e che il Po a marzo scorso registrava i livelli di agosto. Vedremo cosa ci riserverà la prossima stagione.
Non è una novità che le falde non si ricarichino ai ritmi del passato, eppure il nostro Paese nei decenni scorsi non si è dotato delle giuste strategie di stoccaggio, mentre conta centinaia di invasi non collaudati e inutilizzabili. A questo si aggiunge che l’acqua immessa nelle reti di distribuzione si perde sempre più per strada: siamo passati dal 32% del 2008 al 47,9% del 2018. L’assurdo è che mentre l’acqua in alcuni comuni scarseggia e viene razionata, ci sono settori produttivi che ne potrebbero tranquillamente fare a meno eppure continuano a sperperare altra potabile e contestualmente il business delle acque minerali cresce senza sosta.
Per ridurre gli effetti del cambiamento climatico e adattare le strutture alle loro conseguenze, dobbiamo accelerare sull’adeguamento delle reti esistenti. Per questo è fondamentale il lavoro che abbiamo fatto fin dall’inizio della legislatura per potenziare gli investimenti nel settore idrico grazie al cosiddetto Piano Invasi e Acquedotti, per il quale lo scorso anno il Governo ha stanziato in legge di bilancio un miliardo. Un decreto della Presidenza del Consiglio ha anche attivato un fondo di garanzia al quale gli operatori del settore possono attingere per i loro investimenti.
Certo, resta ancora tanto da fare: vanno ad esempio ridotti i conflitti sull’uso concorrenziale delle risorse idriche, soprattutto quando le condizioni climatiche siano eccezionalmente sfavorevoli.
Serve anche un costante e capillare controllo dei prelievi e delle restituzioni, abbinato a una energica azione volta a massimizzare il risparmio idrico, ad arrestare il trend crescente dei prelievi incontrollati e lo sfruttamento delle residue risorse strategiche, per lo più sotterranee.
Mettere a disposizione dei decisori politici un bilancio idrico costantemente aggiornato costituisce lo strumento primario per il raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale dei corpi idrici e consente anche di prevenire e gestire le sempre più frequenti “crisi idriche” con ricadute, tra gli altri, sull’approvvigionamento di acqua potabile, ovviamente prioritario.
È questa la sfida delle sfide per assicurare la disponibilità della risorsa più preziosa alle generazioni future, ed è per questo che dobbiamo rimettere la gestione dell’acqua nelle mani dei cittadini ed eliminare ogni forma di speculazione sulla risorsa più preziosa. Lo faremo con una legge a costo zero per le casse dello Stato e per i cittadini. Ogni centesimo pagato attraverso le bollette deve servire a riparare e ammodernare le reti colabrodo italiane: in tempi di cambiamenti climatici e forte siccità quest’obiettivo diventa un imperativo morale.
Il motto dell’ultima Giornata mondiale per l’acqua era “Nessuno deve rimanere indietro”: la vera sfida del nostro tempo è proprio questa, fare in modo che tutti abbiano accesso alla giusta quantità d’acqua, oggi, domani e nel futuro.