In un mondo globalizzato dobbiamo capire che il sistema Paese ha delle priorità industriali da proteggere. Non possiamo pensare che il mercato risolva tutti i problemi, così come non è immaginabile un intervento dello Stato che si sostituisce al mercato.
Viviamo in un momento nel quale il sistema industriale italiano è stretto tra la voglia di conservazione e il desiderio del cambiamento: fare politiche di innovazione in un mondo conservativo è complicato, come lo è al contempo conservare il know-how in un mondo in costante evoluzione.
Per questo occorre trovare un equilibrio attraverso un soggetto pubblico, chiamiamola nuova IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) come volete voi, capace di evitare shock al sistema produttivo e shock occupazionali.
Occorre quindi una protezione del tessuto industriale del Paese, della filiera e dell’indotto di determinati settori. Non perché ci sia bisogno di nazionalizzare, ma perché le sfide che si pongono davanti,anche in termini ambientali, necessitano di un accompagnamento.
In fondo, stiamo parlando di questo anche quando la Commissione UE convince il Parlamento europeo sul Green New Deal scomputato dai vincoli del deficit.
Ma non fermiamoci solo alle grandi: per le piccole e medie occorre mettere in campo una banca pubblica degli investimenti che garantisca un’erogazione del credito più efficace allo scheletro industriale italiano, costituito in particolare da tante micro imprese. A loro dobbiamo guardare offerendo proposte, soluzioni, sostegno.