Il naturale passaggio dalle fonti fossili alle fonti rinnovabili, queste ultime spesso non programmabili, ci porta a focalizzare l’attenzione sulla necessità di realizzare sistemi di accumulo sempre più performanti e in grado di soddisfare differenti esigenze.
È utile, in tal senso, capire come sfruttare al meglio la differenza di produzione tra i mesi estivi e i mesi invernali, in particolare per gli impianti solari. Si tratta, a stagioni invertite, di riscoprire quanto si faceva una volta nelle neviere, dove la neve dell’inverno veniva conservata per essere utilizzata nei mesi più caldi.
La ricerca di soluzioni per l’accumulo stagionale dell’energia trova ampio spazio nei programmi di ricerca attivati nel nostro Paese, finalizzati a promuovere nuove tecnologie, l’uso innovativo delle tecnologie esistenti e lo studio e sviluppo di materiali innovativi. In uno scenario che tende al 100% di energia prodotta da fonti rinnovabili, l’obiettivo è quello di ridurre i costi, aumentare l’efficienza di trasformazione e massimizzare i campi di applicazione.
In riferimento all’accumulo stagionale sono da evidenziare le tecnologie che sfruttano il Power to gas, sistema che utilizza l’energia in eccesso per produrre idrogeno, l’accumulo termico, sistemi ad aria compressa o il più tradizionale utilizzo dei pompaggi idroelettrici.
Parlando di accumulo termico, un progetto interessante è stato realizzato nel piccolo comune di Marstal, sull’isola danese di Ærø, addirittura nel 2002, anno di costruzione di una grande centrale solare termica, successivamente potenziata nel 2013.
La radiazione solare captata tramite i collettori viene accumulata in uno stoccaggio di energia termica stagionale, abbastanza grande da preservare il calore raccolto durante il periodo estivo per poter essere riutilizzato durante i mesi più freddi.
L’impianto, che occupa una superficie di 33.300 m2, è ancora oggi il più grande sistema al mondo di collettori solari per il riscaldamento e copre parte del fabbisogno di energia termica del Comune che, grazie all’integrazione di un impianto a biomassa da 4 MW termici, riesce a essere 100% rinnovabile.
Il PTES (Pit Thermal Energy Storage) è un sistema costituito da un serbatoio d’acqua scavato nel terreno e a forma di piramide troncata capovolta. Il serbatoio ha un volume di 75.000 m3 ed è in grado di immagazzinare 6.000 MWh di energia termica, raggiungendo una temperatura di funzionamento di circa 90 °C.
In Danimarca gli edifici sono riscaldati per la maggior parte dell’anno e per far fronte alla necessità di calore, nelle aree urbane, si è storicamente ricorso all’utilizzo di reti di teleriscaldamento realizzate distribuendo il calore di centrali termiche e cogenerative alimentate principalmente da combustibili fossili.
Da qualche anno, però, il governo danese sta attivando un processo di sostituzione della produzione del calore negli impianti di riscaldamento preferendo tecnologie a zero emissioni, avviando dei progetti pilota sulle isole e realizzando dei veri e propri distretti per la produzione di energia da fonte rinnovabile o tecnologie innovative.
L’uso dell’acqua come mezzo per lo stoccaggio del calore presenta numerosi vantaggi: è atossico, ha un’ottima capacità di carico e scarico, presenta delle buone caratteristiche di trasferimento del calore ed è relativamente economico.
L’integrazione tra captazione di energia solare tramite collettori e accumulo termico può rappresentare una importante opportunità di sviluppo anche per il nostro Paese, in considerazione dell’elevata disponibilità di radiazione solare di cui godiamo.
Tale soluzione potrebbe infatti dare un significativo contributo per raggiungere gli obiettivi nazionali di utilizzo delle rinnovabili nel settore termico al 2030, che prevedono un incremento del solare per il riscaldamento da 200 ktep (migliaia di tonnellate equivalenti di petrolio) ad almeno 770 ktep nel 2030.