“La crisi climatica in atto porterà a un aumento della frequenza e dell’intensità degli incendi. Sarà quindi necessario rafforzare la prevenzione e la lotta attiva agli incendi boschivi”. A dirlo è l’Ing. Marina Vitullo, esperta di ecologia forestale dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Una battaglia che va combattuta non soltanto dagli Stati, ma anche dai cittadini che, con le loro scelte, ricoprono un ruolo fondamentale nella lotta ai cambiamenti climatici.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia per l’ambiente dell’ONU, il mondo si sta avviando verso un aumento medio della temperatura di 3,2 gradi entro la fine del secolo. Un cambiamento che fa presagire scenari non certo rosei, con il rischio del proliferare di eventi distruttivi. Tra questi anche gli incendi che, negli ultimi anni, a causa del riscaldamento globale sono nettamente aumentati. L’ultimo rapporto della rivista Lancet sulla salute e i cambiamenti climatici mostra chiaramente come “l’esposizione umana agli incendi è raddoppiata dal 2000 ad oggi”.
In tal senso, il 2019 potrebbe essere definito “l’anno dei grandi incendi”. Solo ad oggi, sono bruciati migliaia di kmq di vegetazione, dalla foresta siberiana e africana a quella in Amazzonia. E se, da un lato, il riscaldamento globale è la causa del grande aumento di questi fenomeni di combustione, dall’altro quest’ultimi contribuiscono all’aumento delle temperature, rilasciando ingenti quantità di CO2 e causando danni all’ecosistema.
Ingegner Vitullo, quali sono le principali conseguenze legate a questi eventi catastrofici?
Gli incendi che annualmente affliggono vaste aree del globo hanno dinamiche e inneschi differenti. Nella regione amazzonica, ad esempio, una pratica largamente utilizzata è quella dello slash and burn, ovvero il taglio e l’incendio della biomassa tagliata per rendere disponibili alla coltivazione terreni fertili. Nella maggior parte dei casi, i terreni disboscati vengono utilizzati solo temporaneamente e abbandonati dopo pochi anni. Le conseguenze di tali eventi sono sicuramente una deforestazione di vaste aree che, nella maggior parte dei casi, sarà definitiva. Ciò implica che le foreste, e i molteplici servici ecosistemici che esse forniscono, sono definitivamente perse.
E per l’ambiente?
Gli impatti sono significativi nel breve periodo. Parliamo di emissioni di gas serra con aumento di concentrazione di particolato e altri inquinanti e conseguente riduzione della qualità dell’aria. A medio e lungo termine invece, si registra la perdita della capacità di assorbimento di carbonio, ovvero una delle principali forme di mitigazione delle emissioni di gas climalteranti. Inoltre, la perdita di vaste aree forestate ha un impatto sulla circolazione atmosferica e sul ciclo idrologico, con una conseguente intensificazione degli effetti della crisi climatica in atto.
Come possiamo contrastare efficacemente questo fenomeno in costante crescita?
La leva finanziaria potrebbe essere uno strumento per indurre i Paesi non industrializzati a sviluppare in maniera sostenibile l’agricoltura e le pratiche forestali, riducendo le emissioni di gas serra relative a tali attività. In riferimento ad Asia, Africa e Sudamerica, si sta cercando di utilizzare un sistema di finanziamenti per i Paesi che lanciano progetti mirati a proteggere e ricostituire aree forestali in modo sostenibile, nonché ad attuare altre opere di mitigazione legate al ripristino degli ecosistemi.
Le piante possono rappresentare un’arma nella lotta ai cambiamenti climatici?
Le piante hanno un ruolo chiave per la nostra sopravvivenza, per la loro capacità di sequestrare carbonio, accumulandolo nella biomassa e rimuovendolo dall’atmosfera, attraverso la fotosintesi clorofilliana. Le foreste – e in genere le piante – riescono a rimuovere dall’atmosfera circa 11.6 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, secondo il Global Carbon Budget 2018. Insieme agli oceani, rappresentano i più grandi assorbitori di anidride carbonica.
Quanto incidono gli incendi sui cambiamenti climatici?
Gli incendi hanno un impatto notevole sulle emissioni globali di gas serra e sono strettamente connesse ad attività di deforestazione, soprattutto nell’area Amazzonica, nel Borneo, nell’Africa orientale e a Sumatra. Ma il nostro Paese non è estraneo al problema: l’Italia, come tutti i paesi industrializzati, riporta annualmente le emissioni di gas serra connessi agli incendi nei loro inventari nazionali di gas serra. Gli incendi, forestali e non, costituiscono una notevole fonte di emissione di gas climalteranti.
Come si posiziona l’Italia in relazioni agli obiettivi europei di riduzione delle emissioni di gas serra legati al rimboschimento?
L’Italia, per il 2020, ha già raggiunto i target di riduzione delle emissioni di gas serra fissati in ambito europeo e vincolanti ai fini del Protocollo di Kyoto. In particolare, per quello che riguarda gli assorbimenti e le emissioni di gas serra relativi al rimboschimento, l’Italia è responsabile di oltre il 10% degli assorbimenti europei relativi a questa categoria, nel 2017, preceduta soltanto da Spagna (12%) e Francia (15%).
In merito al contrasto ai cambiamenti climatici e all’inquinamento atmosferico, quali potrebbero essere le azioni prioritarie da attuare, per avere dei risultati nel breve e medio termine?
Le politiche e misure che sono pianificate e attuate per mitigare i cambiamenti climatici sono descritti in diversi documenti che l’Italia deve trasmettere all’Unione Europea, in linea con gli obblighi derivanti dell’Unione dell’energia. Per contrastare i cambiamenti climatici, a livello europeo, e a livello di Stato Membro, l’Unione Europea ha stabilito per l’Italia un obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030 del 33% rispetto al 2005. Inoltre, il nostro Paese è chiamato a definire politiche e misure per ognuna delle cinque dimensioni dell’Unione dell’energia: decarbonizzazione, efficienza energetica, sicurezza energetica, mercato interno dell’energia, ricerca, innovazione e competitività.
Un percorso intrapreso da tempo.
Sì, l’Italia ha trasmesso, nel 2018, la proposta del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima dell’Italia 2021-2030 (PNIEC), che ha ricevuto le osservazioni della Commissione Europea e verrà finalizzato e trasmesso entro dicembre 2019. Infine, è in consultazione pubblica la “Strategia di sviluppo a basse emissioni di gas a effetto serra” – con orizzonte temporale al 2050 – che l’Italia deve predisporre e inviare alla Commissione europea entro il primo gennaio 2020. Di certo, però, un ruolo chiave di questa transizione verso la sostenibilità ambientale sarà rivestito dai cittadini che, tramite le loro scelte e modelli comportamentali, potranno contribuire significativamente al processo di transizione.