La Corte dei Conti smonta la minaccia di Autostrade

Buondì, come sono andate le feste natalizie?
Vi ricordate quando tutti dicevano che revocare la concessione ad Autostrade ci sarebbe costato almeno 23 miliardi di euro?

Nei giorni scorsi i Benetton avevano persino inviato una lettera al governo in cui minacciavano la stessa penale. Peccato per loro, però, che sia una enorme sciocchezza, una vera e propria montatura alimentata anche da tv e giornali che pur di screditare il MoVimento 5 Stelle farebbero di tutto.

Il presunto indennizzo di 23 miliardi non ha infatti nessuna base legale: lo ha stabilito una relazione della Corte dei Conti approvata già a novembre, ma resa nota solo nelle ultime ore.

Nel 2020, una delle prime cose da inserire nella nuova agenda di governo dovrà essere la revoca delle concessioni ad Autostrade, con l’affidamento ad Anas e il conseguente abbassamento dei pedaggi autostradali.

Le famiglie delle vittime del Ponte Morandi aspettano una risposta. E noi gliela daremo. Non solo a loro, ma a tutto il Paese.

Un caro abbraccio e se potete godervi ancora i vostri cari e i vostri affetti, non rinunciate a farlo!


di seguito articolo di Alberto Sisto dell’Huffington post

La richiesta di 23 miliardi quale indennizzo in caso di rescissione della convenzione fra Anas e Autostrade per l’Italia per la gestione di circa 3.000 chilometri di strade a pagamento non ha basi legali perché prevede indennizzi abnormi rispetto alla normale prassi commerciale.

Il giudizio è contenuto in una Relazione sulle concessioni autostradali approvata dalla Corte dei Conti a fine novembre e resa nota ieri. Nell’indagine si passano in rassegna gli aspetti economici, legali di questi particolari contratti con cui lo stato affida a società private la gestione di infrastrutture, come le autostrade, consentendo alle imprese di ripagarsi con i pedaggi. La concessione è come un contratto di affitto che prevede oneri e diritti per i due contraenti, ad esempio l’obbligo di restituzione integro del bene, regola le modalità della locazione, le tempistiche il pagamento del canone, prevede anche la possibilità che il contratto venga interrotto anzitempo in caso di violazione da parte di uno dei due contraenti.

Di queste convenzioni il governo italiano ne ha firmate 25 con 22 società. Sono state messe a punto dal ministero dei Trasporti e da quello dell’Economia e dall’Anas, per il governo, e da stuoli di avvocati e manager per le società e quasi sempre sono state oggetto di contenziosi. Per ogni tratta autostradale, grande o piccola che sia, viene firmata una apposita concessione, seguendo uno schema tipo introdotto nel 2007, con cui si definiscono i lavori da fare all’infrastruttura, il sistema dei pedaggi e altri importanti aspetti, economici e non, come il sistema di controllo sull’attività dei concessionari, le sanzioni e il meccanismo per l’eventuale risoluzione del contratto.

La relazione della Corte dei conti arriva sul tavolo del governo, proprio mentre il presidente del consiglio Giuseppe Conte e i suoi ministri stanno decidendo se e come risolvere la concessione firmata con Autostrade per l’Italia, la società del gruppo Benetton, imputandole la responsabilità per il crollo del ponte Morandi a Genova. Ma il governo deve fare i conti con quel contratto che stabilisce, anche in presenza di una responsabilità del concessionario, l’obbligo di un indennizzo enorme e superiore ai venti miliardi a carico dello stato. Così la relazione della Corte dei Conti arriva al governo come una sorta di parere legale firmato dai maggiori esperti di responsabilità erariale. Per capirsi se il presidente del consiglio, Giuseppe Conte, desse seguito alla richiesta del gruppo veneto sarebbero i magistrati contabili a dovere accertare e sanzionare l’eventuale danno allo stato per un pagamento non dovuto.

Analizzando le clausole, previste dalle convenzioni tipo, i magistrati contabili si sono accorti che “i casi di scioglimento anticipato del rapporto concessorio siano stati oggetto di una disciplina per più aspetti speciale ed eccentrica rispetto a quella legale (in particolare rispetto a quella prevista dal Codice civile e dal codice dei contratti pubblici) e all’apparenza molto ‘sbilanciata’ dal lato e in favore della concessionaria”. Oltre a prevedere molte cautele e ostacoli crescenti alla risoluzione del contratto, “la convenzione condiziona ogni ipotesi risolutoria al pagamento di una somma pecuniaria che può essere, “assolutamente ingente, se non addirittura insostenibile per l’erario”, senza neanche indicare esplicitamente “violazione degli obblighi di per sé da considerare gravi, quali crolli e disfacimenti”, che possano giustificare un’uscita da parte del concedente, ovvero lo stato.

Tutto questo, continua la Relazione, se per un verso, “rivela una qualche ‘cedevolezza’ del contraente pubblico in sede di contrattazione di clausole rilevanti della convenzione, comportando un assetto contrattuale asimmetrico che pone la parte pubblica in una posizione di debolezza, per altro verso, solleva il tema della validità di queste clausole contrattuali alla luce della disciplina legale e, in primo luogo, di quella civilistica”. E qui la corte ricorda che il codice civile “dispone la nullità di patti che escludono o limitano preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave”. L’autoassoluzione preventiva, del proprietario o dell’affittuario, non è prevista né è prevedibile.

Clausole speciali e asimmetriche che i concessionari hanno sempre difeso in virtù della specificità di questo tipo di contratto. Le società autostradali, dicono, devono pianificare investimenti pluridecennali durante i quali grazie ai pedaggi ripagano i prestiti e guadagnano. L’interruzione anticipata del contratto metterebbe la società davanti ad un fallimento certo: senza più poter contare sugli introiti dei caselli dovrebbero continuare a fronteggiare le richieste di rientro dei finanziatori, pagare fornitori e personale. Queste le motivazioni dei concessionari, ricordate dalla corte, per giustificare lo squilibrio nelle clausole di risoluzione a sfavore dello stato e a vantaggio dei concessionari. Una deroga rispetto a quanto previsto dal diritto civile e dal codice degli appalti che secondo Aiscat, l’Associazione dei concessionari, troverebbe il fondamento giuridico anche nell’approvazione legislativa dei contratti oggi in essere. Una tesi che la Corte non fa propria sposando il punto di vista del gruppo di lavoro del ministero delle Infrastrutture e trasporti: “Si è dell’avviso che non valga a ‘salvare’ dette clausole dalla nullità manifesta il fatto che la convenzione sia stata, a suo tempo, approvata per legge, in quanto l’approvazione ha riguardato la fase integrativa della efficacia e non i suoi contenuti”, cioè per legge è stato solo approvato l’allungamento nel tempo di quei contratti non il loro contenuto.