“Il segreto dei film è che sono un’illusione”, ha affermato George Lucas, padre di Guerre stellari e Indiana Jones. Eppure, dietro la visione di un film si nasconde un mondo reale, fatto di cose e persone, che nulla ha a che vedere con la fantascienza. Un’industria in cui girano scenografie, troupe, veicoli, comparse, con un impatto ambientale che nel caso di alcune grandi produzioni è davvero pesante.
Il materiale di scena, se non riciclato, si trasforma in un’enorme discarica da smaltire. Per non parlare degli impianti di illuminazione e del consumo di aria condizionata necessaria a mantenere basse le temperature sui set. Energia, rifiuti trasporti: il set di un film è una piccola città i cui abitanti consumano, buttano via e circolano con veicoli non sempre ecologici. Una ricerca della Ucla, University of California Los Angeles, ha rivelato che l’industria cinematografica è responsabile del 2% delle emissioni globali di CO2.
Hollywood è stata additata come una delle maggiori responsabili dell’inquinamento in California. Motivo per il quale, a partire dal 2010, gli studios hanno fatto da apripista affrontando il tema e e dopo un po’ di tempo è nato un programma congiunto, condiviso dalle associazioni imprenditoriali di cinema e tv, che nei primi anni ha visto ridursi del 63% i rifiuti solidi sul set e le emissioni nocive calare per una quantità pari a circa 7.000 automobili in circolazione.
In soccorso alle produzioni è scesa in campo anche la “Pure Power Distribution” lanciando sul mercato il suo “Mobile Solar Power System”: il più grosso apparato mobile al mondo che produce energia solare, in grado in pochi minuti di generare 72.000 watt di potenza di onda sinusoidale pura, a emissioni zero, riducendo di una tonnellata le emissioni di CO2 al giorno. La Warner Bros ne ha già fatto uso per il set di “Inception” con Leonardo Di Caprio e per un’altra produzione firmata da Steve Carrel.
In Italia l’attore che più si contraddistingue per l’impegno ambientalista è senza dubbio Alessandro Gassmann, che quotidianamente interviene e riflette con i quasi 240.000 follower su Twitter, con il mantra “Reduce, Reuse, Recycle”. “Ho calcolato che una troupe cinematografica italiana di medie dimensioni, consuma in una giornata di lavoro 300 bottigliette di plastica! Qualcuno ha iniziato a sostituirle con boccioni riutilizzabili per riempire borracce …ma ancora troppo pochi!! #cinemaecosostenibile”. Ha cinguettato l’attore il 7 gennaio scorso, evidenziando la necessità di diffondere le buone pratiche anche in questo settore.
Ma cosa è stato fatto e cosa si sta facendo nel Belpaese per riconvertire in chiave green la settima arte? Circa 10 anni fa è stato sottoscritto il primo accordo tra Edison, storica azienda di produzione di energia e la società di produzione Tempesta film. Un protocollo chiamato “Edison Green Movie” con linee guida per aiutare le produzioni a ridurre l’impatto ambientale delle loro attività attraverso accorgimenti e buone pratiche che vanno dalla scelta dei fornitori, fino alle attività quotidiane dei membri della troupe.
Secondo le stime diffuse da Edison, con la produzione annua di circa 140 film per un totale stimabile di 5.880 giorni di riprese, se tutte le produzioni seguissero le indicazioni del protocollo, la riduzione delle emissioni sarebbe pari a 1.120 tonnellate di anidride carbonica CO2 in meno, equivalenti alle emissioni relative all’illuminazione pubblica annuale di un comune di 10.200 abitanti oppure al consumo di 1.120 voli andata e ritorno Roma-Dakar.
Le regole d’oro del protocollo sono molto simili a quelle del T-Green Film, il vademecum stilato da Trentino Film Commission per incentivare le produzioni attraverso un piano di sostenibilità che si basa su questi pochi e semplici criteri:
- Risparmio energetico attraverso l’utilizzo esclusivo di energia elettrica fornita attraverso allacci temporanei alla rete di distribuzione, evitando di ricorrere all’impiego di gruppi elettrogeni e di sistemi di illuminazione a incandescenza o alogeni
- Trasporti con mezzi ibridi, a metano o GPL e sistemazioni alloggiative entro 10km dal set per ridurre le emissioni inquinanti derivanti dal movimento di mezzi di trasporto motorizzati attraverso un’organizzazione razionale degli spostamenti della troupe e del casting
- Ristorazione con l’approvvigionamento dell’acqua potabile dalla rete idrica locale o attraverso boccioni e borracce evitando l’utilizzo di bottiglie e bicchieri di plastica. No pocket lunch singoli ma servizi catering che utilizzano stoviglie riutilizzabili e compostabili
- Scelta dei materiali riciclati o derivanti dal riuso, compresi i materiali di scena e la riduzione al minimo del materiale cartaceo per le comunicazioni ai membri della troupe
- Corretta gestione dei rifiuti con spazi allestiti per la raccolta differenziata.
Il film “Torneranno i Prati” di Ermanno Olmi, uscito nelle sale sei anni fa, seguendo alcuni di questi parametri, è riuscito nel corso della sua produzione a tagliare del 75% le emissioni di CO2 e a sostituire 3400 bottigliette d’acqua con 85 boccioni da 20 litri con la riduzione del 20% del costo dei pasti.
Ma non è il solo. Anche Medusa Film ha adottato un protocollo specifico per “Il ricco, il povero e il Maggiordomo” e la casa cinematografica Indiana Production per “Il capitale umano” di Paolo Virzì.
Casi incoraggianti ma che rappresentano ancora una minoranza delle produzioni. I dati diffusi da ANICA (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive Multimediali) ci dicono che nel 2019 sono stati distribuiti nelle sale 495 nuovi film di prima programmazione, di cui 193 di produzione o co-produzione italiana. Pochissimi quelli che hanno comunicato di aver adottato pratiche ecosostenibili. È evidente che la strada da fare è ancora molto lunga e non può di certo fermarsi alle produzioni.
Un cinema multisala, ad esempio, può arrivare a consumare fino a 2 milioni di kWh l’anno, pari ai consumi elettrici di 750 famiglie italiane. E, secondo i dati raccolti da “Cinetel”, nel 2019 in Italia sono state in esercizio 3.542 sale cinematografiche.
I cinema creano tonnellate di rifiuti: contenitori per popcorn, bicchieri, lattine, incarti vari, cannucce di plastica. “Alcune dei prodotti che i clienti acquistano non sono attualmente riciclabili, perché contengono una pellicola plastica al loro interno o al loro esterno”, ha spiegato Art Justice, direttore delle utility e della gestione dell’energia presso Cinemark, famosa catena di sale cinematografiche statunitensi. I contenitori di popcorn e i bicchieri per le bibite gasate in genere rientrano in questa categoria, mentre lattine di alluminio, bottiglie di plastica, scatole di hot dog e caramelle sono riciclabili.
Riciclabili sì, ma non sempre riciclati, come può testimoniare chiunque abbia buttato l’occhio su un bidone della spazzatura all’uscita di una sala cinematografica. Cinemark, così some tante sale nel nostro Paese, ha tentato di combattere queste cattive abitudini attraverso contenitori per la raccolta differenziata con colori e grafiche grandi e di facile comprensione, così da indirizzare al meglio le persone. “I consumatori sono spesso confusi o inconsapevoli di come riciclare correttamente. Abbiamo cercato di rendere la comunicazione il più intuitiva possibile utilizzando non solo parole, ma immagini”, ha detto Justice.
Basta immaginare 200, 300 persone che escono contemporaneamente da una sala cinematografica che proietta 20 spettacoli al giorno, tutti i giorni per farsi un’idea della mole di rifiuti. Che dire degli occhiali 3D? Un oggetto che va riconsegnato al termine della visione, ma che molti gettavano erroneamente nel cassonetto della dell’indifferenziata.
L’azienda produttrice “RealD “ora può dire di avere un “tasso di raccolta” dei suoi suoi occhiali del 60 percento, rispetto al 50 percento due anni fa. Come? Attraverso appositi contenitori più grandi e segnalati in modo corretto nelle sale così gli occhiali possano essere spediti, puliti, e riutilizzati. Incentivi e comunicazioni chiare e semplici sono dunque indispensabili, nel cinema come nelle nostre città.