Questa particolare attenzione al peso è giustificata dall’ampio spettro di applicazioni delle batterie nella nostra società, che le rende indispensabili nell’elettronica di consumo, gli smartphone, i pc portatili ma anche i wearable, e sempre più importanti nei trasporti, grazie alla diffusione della mobilità elettrica.
Le batterie elettrochimiche convertono l’energia da chimica a elettrica. L’elemento costruttivo elementare è la cella, un dispositivo che converte l’energia mediante reazioni elettrochimiche e che comprende due piastre denominate elettrodi (anodo e catodo) immerse in un liquido particolare detto elettrolita. Il processo di conversione permette di accumulare carica elettrica, restituirla nella fase di scarica e per raggiungere il valore desiderato di energia da accumulare, le celle sono collegate l’una all’altra in serie o in parallelo.
Le batterie oggi commercialmente più diffuse sono quelle agli ioni di litio, costituite da un anodo di grafite e un catodo di vari componenti, in genere metalli pesanti come nichel o cobalto. L’elettrolita è, invece, un sale di litio sciolto in un solvente. Questa tecnologia ha permesso di realizzare dispositivi leggeri, robusti e ricaricabili fino a centinaia di volte e non è un caso che il premio Nobel per la Chimica 2019 sia stato conferito a John B. Goodenough, M. Stanley Whittingham e Akira Yoshino, scopritori delle batterie agli ioni di litio.
Queste ultime, grazie alle migliori caratteristiche tecniche, tra cui spicca proprio il minor peso, hanno rapidamente superato in molti settori di utilizzo le tradizionali tecnologie che utilizzano piombo, zinco metallico e biossido di manganese (dette anche alcaline). La fabbricazione di questi dispositivi comporta, tuttavia, la necessità di reperire minerali costosi, spesso concentrati solo in alcuni Paesi del mondo e con un impatto ambientale e umanitario da non trascurare. Per questo sono già in corso importanti progressi nella riduzione dell’utilizzo del cobalto, specie nel settore della mobilità elettrica, dove grazie a importanti investimenti si sta puntando alla totale eliminazione di questo materiale. In questo contesto, ha assunto particolare importanza lo sviluppo di materiali alternativi rispetto all’utilizzo dei metalli pesanti o la ricerca di soluzioni con diverso principio di funzionamento.
Diversi centri di ricerca e consorzi, con partecipazione pubblica e privata, stanno sperimentando con successo una moltitudine di tecnologie innovative nell’ambito delle batterie.
IBM ha annunciato come prossimo passo una collaborazione con la ricerca di Mercedes-Benz in Nord America, insieme ad altri partner, mirata allo sviluppo commerciale del suo prodotto innovativo. Le potenzialità sono notevoli e il primo prototipo della nuova batteria potrebbe essere pronto nel giro di un anno. Nel frattempo bisognerà capire quanto questa tecnologia sia effettivamente pronta per un utilizzo su scala più vasta e, soprattutto, valutare eventuali alternative in corso di sviluppo.
Un’altra soluzione tecnologica molto promettente, sviluppata da un team di ricercatori presso l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, è quella che utilizza il grafene, un derivato del carbonio.
Il grafene viene prodotto a partire dalla grafite e presenta caratteristiche chimiche che ne permettono l’utilizzo nell’anodo delle batterie al litio migliorandone sensibilmente le prestazioni. Le batterie al grafene hanno tempi di ricarica rapidissimi, una vita media più lunga, generano meno calore e sono già pronte per la commercializzazione.
Saranno comunque le scelte del mercato, di noi consumatori, che potranno portare a un ulteriore sviluppo verso la sostenibilità dell’intero settore.