di Rosa D’Amato e Piernicola Pedicini, europarlamentari Movimento 5 Stelle Europa
L’Europa finalmente batte un colpo. ll Just Transition Fund, presentato oggi da Ursula Von der Leyen, investe miliardi di euro per ridurre le emissioni inquinanti e salvaguardare al contempo i posti di lavoro. Una volta che sarà in vigore, grazie a questo nuovo fondo potremo finalmente bonificare i siti industriali che producono carbone e acciaio, così come proposto dal MoVimento 5 Stelle e dal governo italiano.
Il carbone è responsabile di circa un quarto della produzione totale di elettricità in Europa e dà lavoro a oltre 240.000 persone nelle miniere e nelle centrali elettriche in 108 regioni europee. Per tenere fede agli accordi di Parigi, l’Europa dovrà ridurre di due terzi l’uso del carbone nel settore energetico nel prossimo decennio (grazie al nostro impegno e a quello del ministro Costa, l’Italia uscirà definitivamente dal carbone nel 2025), per poi raggiungere i suoi obiettivi climatici nel 2030 (50-55% taglio emissioni netti) e la neutralità climatica nel 2050.
Per il MoVimento 5 Stelle non esiste un inquinamento di serie A e uno di serie B. Ecco perché abbiamo proposto e ottenuto che questo fondo venga esteso agli stabilimenti che producono acciaio, come l’ex Ilva e vedremo se nella versione finale negoziata da Parlamento e Consiglio sarà così. A Taranto la transizione ecologica non è più rinviabile e la salute dei cittadini deve essere la priorità. Per Puglia, Lombardia, Sardegna e Piemonte si apre una nuova stagione di modernità, dove sviluppo non equivale a inquinamento, dove non c’è conflitto tra salvaguardia dei posti di lavoro e tutela dell’ambiente.
Il Just Transition Mechanism si compone di tre pilastri: 7,5 miliardi nel periodo 2021-2027, uno schema da implementare tramite il programma InvestEU e un sistema di prestiti agevolati sotto l’ombrello della BEI, la Banca europea degli investimenti, da concordare con i territori interessati. In totale, il Just Transition Mechanism dovrebbe, nelle intenzioni della Commissione Europea, mobilizzare circa 100 miliardi di euro, all’interno di un contesto normativo più flessibile sugli aiuti di Stato e attraverso dei programmi da stabilire all’interno di ciascuno Stato Membro. L’Italia farà la propria parte.
Questa è una prima, importante, vittoria politica, ma non è finita. Sappiamo bene che i falchi dell’austerity, i lobbisti delle multinazionali che inquinano e chi nega i cambiamenti climatici sono dappertutto. La battaglia per cambiare l’Europa non si esaurisce qui. Vigileremo che non vengano scippati fondi alla politica di coesione perché altrimenti saremmo davanti a un ricatto: lotta alla povertà contro lotta all’emergenza ambientale. Per noi entrambe sono priorità. E vigileremo sull’uso delle fonti fossili e sull’uso dei gas climalteranti. Il Green Deal non avrà successo se non ci saranno, infine, anche spazi fiscali consentiti a livello dei bilanci nazionali. La Commissione europea e la BCE devono far sì che tutti i Paesi contribuiscano alla riduzione delle emissioni, in proporzione ai loro abitanti e non alla loro capacità economica.
Sono proprio i Paesi in difficoltà economica a beneficiare dei maggiori moltiplicatori per investimenti. In questi Paesi se si investe 1 punto di PIL si ottiene l’effetto di 3 punti di PIL sull’economia, e quindi, sulla capacità di ridurre le emissioni. La nostra soluzione è lo scorporo degli investimenti verdi dal calcolo del deficit di bilancio, nell’attesa e nella speranza di cancellare del tutto i vincoli di bilancio e l’intera politica di austerità.
L’importanza strategica del Green new deal è nel ripensare l’economia, i trasporti e l’energia per trasformare l’Europa in fonte di ispirazione e leader nella lotta contro il riscaldamento globale. La strada è lunga, ma è difficile vincere con chi non si arrende mai!