Quando parliamo di rifiuti, nel nostro Paese, in genere lo facciamo in riferimento a ciò che resta da fare per rendere più virtuoso il ciclo. E questo per il MoVimento 5 Stelle significa applicare fedelmente la gerarchia delle 4R di derivazione comunitaria: innanzitutto Ridurre, poi Riutilizzare, poi ancora Riciclare e, infine, solo in maniera residuale Recuperare.
Proviamo allora a scorrere i dati principali relativi alla situazione dell’Italia, per capire in quale campo abbiamo “fatto i compiti” e in quale invece dobbiamo ancora studiare.
Prevenzione: stando ai dati Ispra nel 2017 il nostro Paese ha prodotto 128.978.000 tonnellate di rifiuti, in aumento rispetto ai 124.999.000 tonnellate dell’anno precedente. C’è ancora tanto da fare su questo punto e quella dell’aumento dei rifiuti in circolazione non è una rotta invertibile da un giorno all’altro, perché chiama in causa i modelli di produzione e le scelte di consumo. Siamo al lavoro però: abbiamo previsto incentivi per le imprese che operano in questa direzione e il Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti ha per quest’anno l’obiettivo di ridurre del 5% la produzione di rifiuti urbani per unità di Pil e del 55 anche i rifiuti speciali non pericolosi.
Centrale, per il raggiungimento degli obiettivi, il ruolo delle Regioni, che anche in materia di riutilizzo possono e devono fare sempre più la differenza. Crescono costantemente i territori che danno vita ai centri di riuso e in alcuni casi le Regioni hanno stanziato fondi per favorirne la nascita: sottrarre i rifiuti alla discarica e allungarne la vita migliorando la raccolta differenziata – con il metodo più efficace in assoluto che è il porta a porta con tariffa puntuale (in base al principio “più differenzio meno pago”) – è il primo step per far crescere l’economia circolare nel nostro Paese.
Che il settore sia promettente in tutto il mondo lo conferma il fatto che il Cambridge dictionary ha dichiarato il termine “upcycling” parola dell’anno 2019. Recuperare gli scarti dandogli nuova vita, anche grazie al design e alle nuove tecnologie, riducendo gli sprechi e creando nuovi beni e servizi, è la chiave di volta di un’economia emergente sempre più attenta all’efficienza e alla sostenibilità.
Altra speranza arriva dalla terza R. Se, come accennato, cresce la quantità di rifiuti che produciamo, fortunatamente in Italia è ancora più elevato il tasso di crescita del riciclo: secondo il rapporto di Fise Unicircular e Fondazione Sviluppo Sostenibile “L’Italia del riciclo 2019”, il nostro Paese è passato dai 76 milioni di tonnellate del 2017 ai 108 del 2018 (+42%).
Siamo al terzo posto nell’Unione europea per il recupero degli imballaggi (ne “salviamo” il 67%), dopo la Germania (71%) e la Spagna (70%). Siamo invece primi nel raggiungimento dei target comunitari 2025 (e in qualche caso anche 2030) sotto il profilo del recupero di materiali come carta, vetro, plastica, legno, alluminio e acciaio. Ottimi i risultati di recupero (quasi totale) degli oli minerali esausti, mentre per quelli vegetali tanto si è fatto (+81% in 10 anni) ma tanto si può ancora fare. Uno sforzo maggiore va fatto nella raccolta dell’organico (in aumento ma ancora sotto le soglie comunitarie) e per fare in modo che la materia recuperata vada a sostituirsi a quella vergine nella produzione di nuovi oggetti, così come nel recupero delle pile esauste e di rifiuti elettrici ed elettronici, i cosiddetti Raee. Un gap rilevante per il nostro Paese è quello degli impianti per il compostaggio e per il riciclo a bassissimo impatto e con grandi ricadute ecologiche (evitano discariche e inceneritori e producono materia di valore) ed economiche. L’esempio lampante è quello dei pannolini: dando il via alla possibilità di riciclarli grazie all’impegno in tal senso del MoVimento 5 Stelle, un milione di tonnellate di rifiuti ogni anno sono diventati nuova materia prima e questo dato si può ancora incrementare di tanto.
La quantità di materie prime che possono essere sostituite da prodotti derivanti dal riciclo è ancora tanta: la nostra capacità di trasformare i rifiuti in materiali secondari è aumentata nel 2017, ma non tanto rispetto al 2014: +10% per carta, vetro, plastica, legno, molto di più per l’organico (+43%). L’organico recuperato con il compostaggio può poi contribuire a ridare carbonio ai suoli aumentando la fertilità, la capacità di trattenere acqua e riducendo il bisogno di fertilizzanti chimici. Il compostaggio è il metodo di gestione dell’organico più adatto anche a trattare le bioplastiche.
L’ultimo anello della catena è invece il recupero energetico, che avviene tramite gli inceneritori.
Su questo punto abbiamo fatto un approfondimento che ha confermato quanto le forti pressioni di certi politici per costruire nuovi impianti di incenerimento siano strumentali agli interessi di alcune lobby ma non certo una soluzione utile alla corretta gestione. Esistono già 437 inceneritori in Italia che bruciano 9,9 milioni di tonnellate di rifiuti. Anche se non si mettessero in campo tutte le iniziative volte a produrre meno rifiuti, a riutilizzarne e a riciclarne di più, gli impianti attualmente in uso avrebbero una capienza residua di circa tre milioni e mezzo di tonnellate. Insomma, sappiamo bene di cosa c’è bisogno per valorizzare davvero il ciclo dei rifiuti: produrne meno riutilizzarne e riciclarne di più concentrando le risorse sulla prevenzione, sulla filiera del riuso, sugli impianti di compostaggio e riciclo, sul recupero di materia. Chi vuole ancora discariche e inceneritori, condanna l’Italia a pagare le pesanti sanzioni per le infrazioni comunitarie, a procurarsi preziose materie prime dall’estero e a restare infognata in un passato da cui la gran parte della società e dell’impresa italiana sono già uscite.