Da qualche tempo il giornalista Federico Fubini de “Il Corriere della Sera” ha avviato una vera e propria crociata contro me per colpire tutto il MoVimento 5 Stelle. Non pago dei grossolani errori di calcolo statistico su cui ha costruito il pezzo “La caduta dell’Export. E manca ancora una Cabina di Regia” del 14/01/2020, su cui persino il Ministero degli Affari Esteri ha sentito il bisogno intervenire con una rettifica formale pubblicata dal medesimo giornale il 16/01/2020, Fubini è tornato alla carica il 20/01/2020 con un nuovo, imperdibile articolo dal titolo “Ceta, i vantaggi dell’accordo commerciale con il Canada (e i dubbi del governo)”.
Va dato atto che, perlomeno questa volta, le elucubrazioni sulla necessità impellente che l’Italia ratifichi il trattato di libero scambio tra Unione Europea e Canada (il famoso CETA, che dal settembre 2017, in mancanza della ratifica di tutti i Paesi membri dell’UE, è applicato in modo provvisorio) prendono le mosse da dati commerciali corretti. Purtroppo, però, le buone notizie terminano qui, sommerse da una serie di improbabili sviste e imprecisioni tecniche senza le quali – ma sarò io quello malpensante – il giornalista non saprebbe come attaccarmi.
Andiamole a vedere una per una…
Innanzitutto, Fubini sbaglia quando sentenzia che “se [i Paesi dell’UE] non ratificano proprio tutti, a un certo momento (da stabilire esattamente) l’accordo decade e tornano i dazi che limitavano il made in Italy prima”. È infatti scritto molto chiaramente, sia nel CETA stesso (articolo 30.7) che nei suoi allegati, che l’applicazione provvisoria dell’accordo, una volta avviata, può cessare solamente “mediante comunicazione scritta di una parte all’altra” e, comunque, solo qualora la ratifica del CETA da parte di uno Stato membro fosse impedita in maniera permanente e definitiva a seguito di un voto parlamentare o di una sentenza. In pratica, in assenza di una bocciatura formale da parte di un qualunque paese UE, il CETA potrebbe restare – e probabilmente resterà – provvisorio per decenni, e non fino a un “certo momento da stabilire esattamente”.
In secondo luogo, Fubini manca in modo clamoroso la mira della sua sciabolata più letale, quella che doveva essere il colpo del mio K.O. Simpaticamente, infatti, il giornalista scrive che non è chiaro se la mia “sia avversione ideologica in sprezzo all’interesse del proprio Paese o semplice rifiuto di capire: capire come funzionano le economie moderne, gli scambi, i rapporti fra Stati. Capire, in sostanza, ciò di cui da un anno e mezzo [mi sarei] dovuto occupare alla Farnesina”. Toccante, davvero, ma, al netto della frustrazione che si respira dai suoi insulti (eh sì, sono reo a vita di aver svelato la sua malafede), il ragionamento di Fubini, al quale consiglio caldamente la lettura di un compendio di diritto delle istituzioni, parte da un presupposto errato: io, infatti, in questi 20 mesi da Sottosegretario agli Affari Esteri, non mi sono mai potuto occupare direttamente di accordi di libero scambio perché, fino al 31/12/2019, le politiche commerciali internazionali sono state di competenza del Ministero dello Sviluppo Economico e non della Farnesina.
Portato a termine questo doveroso esercizio di debunking delle ormai croniche inesattezze fubiniane, vorrei soffermarmi sul merito della questione e precisare che, purtroppo per Fubini, capisco molto bene come funzionano le economie moderne, gli scambi e i rapporti fra Stati e che, diversamente da lui, non ho alcuna avversione ideologica verso chi nutre convinzioni diverse dalle mie. Come già spiegato e dimostrato dai fatti, ma repetita iuvant, il MoVimento 5 Stelle è aperto alla negoziazione e ratifica di accordi di libero scambio, che riteniamo vitali per un’economia basata sulle esportazioni come quella italiana.
Deve essere dimostrato però, a seguito di una valutazione tecnica, imparziale e completa dei suoi costi e benefici per il Paese, che ogni accordo sia sostenibile per tutti i soggetti nazionali interessati (quindi non solo per chi trasforma e scambia, ma anche per chi produce materie prime, fornisce servizi, oppure investe o riceve investimenti). A testimonianza di ciò ricordo che abbiamo sostenuto, ad esempio, gli accordi con Giappone, Corea e altre partnership già chiuse e in via di negoziato.
Sul CETA, accordo di grande complessità che, oltre al commercio convenzionale, disciplina servizi, investimenti, proprietà intellettuale, standard di prodotto, riconoscimento dei titoli e molto altro, vorrei sfatare un mito: ritengo che, a livello commerciale, l’Italia stia complessivamente beneficiando dall’applicazione provvisoria dell’accordo, che esclude solamente pochissime norme, tra cui una parte di quelle in materia di protezione degli investimenti e, soprattutto, quelle che prevedono l’istituzione di un meccanismo arbitrale internazionale di risoluzione delle controversie tra Stati Parte e investitori stranieri, l’ISDS (articolo 8.18 e seguenti), a suo tempo negoziato improvvidamente dalla Commissione Europea.
L’ISDS e meccanismi simili ci troveranno sempre contrari ed è principalmente per questo motivo, e non per l’impianto dell’accordo nel suo complesso, che continueremo con l’applicazione provvisoria senza avviare il processo di ratifica parlamentare. Delegare la giustizia a corpi esterni sovranazionali è contro il nostro interesse nazionale. Basta guardare a due casi recentissimi come l’ILVA e le Autostrade: se, per assurdo, questo meccanismo fosse operativo e al tempo stesso i vari Benetton o Mittal fossero canadesi, la giustizia italiana, al netto dei risvolti penali, sarebbe sostanzialmente impossibilitata a intervenire nella risoluzione delle controversie tra gli investitori e lo Stato. Lascio trarre le conclusioni di ciò a tutti quelli che, questa volta sì ideologicamente e aprioristicamente, sono fubinescamente favorevoli sempre e comunque alla firma di accordi commerciali a prescindere dal loro contenuto.
Questo tipo di approccio costituisce un pericolo concreto per gli interessi complessivi del Sistema Paese. Non è un caso che la stessa Commissione Europea, dopo l’infelice gestione del CETA, rigettato da ampie porzioni della società europea e, a più di cinque anni dalla firma, non ratificato da Italia, Germania, Francia, Belgio e Olanda (per citarne alcuni), nei negoziati più recenti abbia accantonato simili logiche omnicomprensive, preferendo invece concentrarsi su intese più limitate, sprovviste di meccanismi come l’ISDS e non richiedenti, come molto probabilmente avverrà per il trattato UE-Mercosur, la ratifica dei Paesi membri ai fini dell’entrata in vigore.
In conclusione, invece di provare, quotidianamente, a indebolire e sabotare chi, come me e il M5S, fa di tutto per difendere gli interessi nazionali, consiglio a Fubini di concentrarsi sul merito delle trappole in cui la nostra Italia rischia di cadere per colpa dell’avventurismo ideologico di una certa politica.