Questa settimana 6 donne sono morte, uccise dal marito o dal compagno.
Femminicidi che, secondo il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, rappresentano una vera e propria emergenza nazionale. Nel nostro Paese si parla troppo poco di violenza di genere, è qualcosa che tocca gli animi della gente perché con paura si pensa che quella donna potrebbe essere nostra madre, sorella, figlia.
Ma è qualcosa di talmente aberrante che spesso, purtroppo, si preferisce ignorare, e ci scandalizza solo di fronte all’ennesimo caso di violenza domestica letto sul giornale.
Il codice rosso è un passo avanti, le donne devono essere sentite dal pm entro 3 giorni dall’iscrizione della notizia di reato, sono stati introdotti reati come il revenge porn, cioè la diffusione illecita di immagini sessualmente esplicite, il matrimonio forzato e la deformazione del volto.
Ma non è abbastanza, l’approccio deve essere culturale.
Dobbiamo iniziare a chiederci perché alcuni uomini pensano che la compagna o moglie sia di loro possesso. Dobbiamo dare alle donne una buona retribuzione, un lavoro sicuro, un’indipendenza economica, dare loro la possibilità di essere mamme e lavoratrici senza essere obbligate a scegliere tra essere l’una o l’altra. E dobbiamo dare tutti gli strumenti a nostra disposizione nell’immediato, quando una donna si trova in pericolo e chiede aiuto.
Per questo credo che un training adeguato per tutti gli operatori sia fondamentale, sopratutto per le forze dell’ordine, che non smetterò mai di ringraziare per il loro lavoro e per la sensibilità che in molti casi hanno dimostrato quando si sono trovati davanti ad una donna in pericolo. Molti progressi sono stati fatti negli anni: penso al protocollo EVA della Polizia di Stato che ha codificato in linee guida le Best Practice per la gestione degli interventi legati alla violenza di genere in caso di primo intervento degli addetti al controllo del territorio, attraverso la elaborazione di una “Processing Card” composta di schede che i poliziotti devono compilare ed inserire negli archivi informatici di polizia quando intervengono a seguito di segnalazione di violenza di genere.
Ma si può e si deve fare di più. L’approccio non deve basarsi sulla sensibilità del singolo, ma su standard specifici che possono valutare nell’immediato, il grado di pericolosità in cui si trova la donna (e purtroppo molto spesso anche minori). Training adeguato, standardizzazione dell’approccio e condivisione di informazioni.
Sopratutto le informazioni sono fondamentali, e a volte ci sono strumenti che purtroppo non sono nemmeno conosciuti, come il 1522, il numero di emergenza contro la violenza domestica.
E’ attivo 24 ore su 24, tutti i giorni dell’anno ed è accessibile dall’intero territorio nazionale gratuitamente, sia da rete fissa che mobile. Le operatrici telefoniche dedicate al servizio forniscono una prima risposta ai bisogni delle vittime di violenza di genere e stalking, offrendo informazioni utili e un orientamento verso i servizi socio-sanitari pubblici e privati presenti sul territorio nazionale ed inseriti nella mappatura ufficiale della Presidenza del Consiglio – Dipartimento Pari Opportunità. Il 1522, attraverso il supporto alle vittime, sostiene l’emersione della domanda di aiuto, con assoluta garanzia di anonimato. I casi di violenza che rivestono carattere di emergenza vengono accolti con una specifica procedura tecnico-operativa condivisa con le Forze dell’Ordine.
Diffondete questo numero, potrebbe salvare una vita.