La posizione strategica nel cuore dell’Asia ha condannato l’attuale Afghanistan ad essere terreno di conquista delle potenze di ogni epoca storica: Persiani, Greci, Arabi, Mongoli, Turchi, Britannici, Sovietici e infine gli Stati Uniti. Dalle falangi di Alessandro Magno ai reggimenti della Regina Vittoria, dall’Amata rossa di Breznev ai marines di Bush, Obama e Trump, i più grandi eserciti della storia si sono impantanati tra le montagne e i deserti afgani nel vano tentativo di vincere la resistenza di una popolazione guerriera, fiera e indomita come poche altre al mondo, che alla fine ha sempre respinto ogni invasore.
Conquistata l’indipendenza dall’impero britannico nel 1919, l’Afghanistan vive un lungo periodo di stabilità e pace sotto il quarantennale regno di Zahir Shah, che riesce a rimanere neutrale durante la Guerra Fredda e a introdurre riforme liberali. L’equilibrio si infrange negli ’70, a vantaggio dell’URSS, con il golpe militare del principe Mohamed Daoud (1973) e la successiva “rivoluzione d’aprile” (1978) del leader socialista Nur Mohammad Taraki. Le riforme sociali attuate in questi anni – emancipazione femminile, scolarizzazione di massa, confisca delle terre del clero a favore dei contadini – suscita la reazione dei mullah, che organizzano un’opposizione armata nel vicino Pakistan.
Ne approfittano gli USA, reduci dalla bruciante sconfitta comunista in Indocina, cogliendo l’occasione per trascinare l’URSS nel “suo Vietnam” dove farla impantanare e logorare. Nel 1979 la CIA inizia a fornire armi e denaro ai ribelli islamici afgani (operazione Ciclone) suscitando l’immediata reazione militare di Moca che, cadendo nella trappola, invade l’Afghanistan alla fine dello stesso anno. Negli anni ’80 Reagan aumenta esponenzialmente il supporto economico e militare ai mujaheddin afgani, ignorando gli avvertimenti di chi considera pericoloso alimentare un’armata di jihadisti fanatici. Tra questi c’è un giovane sceicco saudita di nome Osama bin Laden, che nel 1988 fonda il suo gruppo, Al-Qaeda.
Dopo dieci anni di guerra – che si lascia dietro un Paese in macerie, un milione e mezzo di afgani morti, 15 mila caduti russi, tre milioni di disabili e mutilati e cinque milioni di profughi – e il ritiro dell’Armata rossa (1989), l’Afghanistan sprofonda in un’infernale guerra civile tra milizie islamiche che, sconfitto il nemico comune, si contendono il controllo del Paese finendo di devastarlo. Nel 1996 le macerie di Kabul vengono conquistate dalla milizia integralista dei Talebani (espressione dell’etnia maggioritaria pashtun) grazie al supporto economico e militare di Pakistan, Arabia Saudita, Emirati e Stati Uniti – che scommettono sulla vittoria degli studenti coranici del Mullah Omar.
L’azzardo autorizzato da Clinton si rivela subito un errore. I Talebani instaurano in Afghanistan un barbaro regime del terrore (contrastato dalla resistenza armata delle minoranze tagica e uzbeca nel nord del Paese – l’Alleanza del Nord) e offrono ospitalità a Bin Laden che, nel frattempo, in seguito all’arrivo delle truppe USA sul sacro suolo saudita nel 1990 per la Guerra del Golfo, aveva voltato le spalle ai suoi ex alleati dichiarando la Guerra Santa contro i “nuovi crociati” americani. Dopo gli attentati alle ambasciate USA in Tanzania e Kenya (1998) Clinton bombarda i campi di Al-Qaeda in Afghanistan e il Paese viene sottoposto a embargo internazionale.
Un anticipo di quello che accade tre anni più tardi, nel 2001, dopo gli attacchi alle Torri Gemelle: di fronte al rifiuto dei Talebani di consegnare Bin Laden, Bush il Giovane ordina l’attacco. Inizia l’operazione Enduring Freedom. Coperte dai B-52 americani e assistite dalle forze speciali americane, le milizie dell’Alleanza del Nord conquistano Kabul. Dopo pochi mesi di combattimenti, i Talebani si rifugiano in Pakistan dove organizzano la resistenza armata. Anche Bin Laden si nasconde in Pakistan (dove rimane fino alla sua uccisione nel 2011).
A difendere il nuovo governo filo-occidentale installato a Kabul arrivano nel 2002 decine di migliaia di truppe NATO (missione ISAF), compresi i soldati italiani – inviati dal governo Berlusconi – cui viene affidato il comando della regione occidentale e che negli anni successivi partecipano a numerose battaglie finendo nel mirino della resistenza (56 caduti e 650 mutilati). Dal 2015 le truppe NATO mantengono solo compiti di assistenza e addestramento (missione Resolute Support), mentre gli USA continuano a fornire copertura aerea all’esercito afgano, che fatica a fronteggiare la sempre più diffusa resistenza talebana.
Dopo 18 anni di guerra (costati 2 trilioni di dollari – 8 miliardi all’Italia – 150 mila morti afgani, 3 milioni di nuovi profughi e 3.500 caduti NATO – in gran parte americani), i talebani controllano gran parte del Paese e i governativi sono barricati nelle città assediate, Kabul compresa. La presenza militare straniera, inizialmente ben accolta dalla popolazione, è sempre più malvista perché considerata causa del prolungarsi di una guerra senza sbocchi (che continua a uccidere migliaia di civili ogni anno) e di una situazione socio-economica drammatica, con un regime corrotto che vive di narcotraffico e si intasca gli aiuti internazionali, e con tassi di povertà, mortalità infantile e aspettativa di vita tra i peggiori del pianeta.
Dal 2018 è in corso in Qatar un difficile negoziato tra Stati Uniti e Talebani che, nelle intenzioni di Trump, dovrebbe portare alla fine della guerra e quindi al ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan entro le elezioni presidenziali USA di novembre.
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