In questo terzo articolo della rubrica dedicata all’Educazione Digitale intervistiamo Francesco “Piersoft” Paolicelli, esperto informatico e formatore scolastico nel campo della robotica educativa e consulente per le politiche di OpenGov.
• Per chi non la conosce come si presenterebbe?
Sono Francesco “Piersoft” Paolicelli. Mi occupo di IT (tecnologia dell’informazione), prima per passione e poi per lavoro, ormai da parecchi decenni. Dopo un periodo in aziende private nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ho deciso di mettermi in proprio. Faccio il consulente in varie amministrazioni pubbliche locali e centrali, ho continuato la passione di volontario divulgatore di coding nelle scuole.
• Cosa si intende per educazione digitale e che importanza ha nella società di oggi?
Digitale non è informatica. Digitale è tutto ciò che ci circonda e come per le altre rivoluzioni non si possono usare gli strumenti del passato per capire il presente e anticipare il futuro.
L’errore più frequente è pensare che la digitalizzazione sia l’elettrificazione. Si pensi alle aule scolastiche: mettere la lavagna interattiva multimediale (LIM) o comprare vagonate di apparecchiature non vuol dire aver digitalizzato nulla se non si interviene sulla didattica e sull’uso educativo di tali apparecchiature.
I ragazzi sono digitali nativi o meglio “primitivi digitali”: il digitale lo subiscono e spesso vengono fuorviati nell’opinione collettiva e non hanno un pensiero critico.
• Lei si è da sempre fatto promotore dell’importanza di insegnare ai ragazzi il pensiero computazionale, ma che cos’è e perché, secondo lei, andrebbe insegnato a tutti?
Il pensiero computazionale è la capacità di sviluppare il problem solving, un’attitudine, una forma di pensiero che dovrebbe affiancare il saper fare i conti, saper leggere e scrivere… cioè essere una competenza base universale.
Questo si riallaccia a quanto detto prima. Se ho l’abitudine a scomporre problemi complessi in insieme di passaggi ripetibili che mi danno la soluzione al problema, applico questa forma mentis in ogni aspetto della mia vita: che strada mi conviene fare per arrivare a casa? Come preparo la ricetta della nonna? Come leggo diversamente le notizie che trovo in rete? Come elaboro possibili soluzioni a problemi complessi che riguardano il clima, la mia città o la medicina?
Oggi abbiamo perso l’attitudine a “scendere in profondità”. Ci arrabbiamo perché pensiamo di avere il miglior sistema educativo al mondo…ma abbiamo una scuola didascalica. Non forma uomini e donne ma matricole. Sono duro ma sfido chiunque a dimostrarmi il contrario. La percentuale di giovani che non studiano e non lavorano (NEET) in Italia è da brividi.
Un bambino che oggi inizia la scuola, nel 2036 avrà probabilmente finito il suo ciclo di istruzioni; il 70% dei lavori che andrà a fare OGGI non è ancora stato inventato.
Se non insegniamo ad apprendere, se non sviluppiamo il problem solving e il pensiero critico e se, aggiungo, non lavoriamo sulla creatività, faremo sempre gli stessi errori e sempre le stesse azioni. Con sempre gli stessi risultati.
La codifica del pensiero computazionale è il Coding. Si può insegnare dalla scuola dell’infanzia fino alle superiori. E va insegnato a tutti, indipendentemente da quello che si farà come professione nella vita. Esattamente come al biologo serve scrivere in italiano o al filosofo sapere le astrazioni matematiche. Solo capendo il digitale, capendone i meccanismi di costruzione, ci chiederemo il “perché” per ogni cosa che ci circonda; dal robot aspirapolvere che sbatte sul muro e torna indietro al cicalino del sensore di parcheggio della nostra autovettura. Nei laboratori con i ragazzi la frase più frequente che sento è: “Ah ecco come funziona! Finalmente l’ho capito”.
• Qui è il ruolo dell’educazione digitale: come usare lo STRUMENTO a servizio dell’UOMO e non esserne vittima?
Per capire cosa dico, basta un esempio: spesso, nei corsi, inizio la lezione chiedendo se siamo invasi da migranti o se negli anni precedenti ne sbarcavano di più?
Quasi il 100% dei ragazzi dicono che non se ne può più perché il flusso ormai è insostenibile. Quando apro i dati del Ministero dell’Interno e faccio vedere i 180.000 sbarchi del 2017 contro i 19.000 del 2019, rimangono tutti allibiti. Molti dicono che sono comunque troppi e dobbiamo intervenire.
Ormai l’opinione pubblica è polarizzata. Questo porta con sé l’etica del digitale: se usiamo i social network per informarci e non ci sono le COMPETENZE per il Pensiero Critico e la capacità di verificare le fonti e approfondire, ogni notizia diventa una verità, ma magari quella notizia, che prendiamo per verità è una fake news.
Da qui l’importanza di sviluppare il pensiero critico nel terzo millennio: studiare le fonti per aiutare a farsi un’opinione suffragata dai dati.
• L’educazione all’uso del digitale non si ferma qui, ma si allarga al coding, al making, alla “data visualization” ecc. Ma dove si insegnano queste cose? La Scuola moderna è pronta a “educare” al digitale?
La Scuola DEVE aggiornarsi e collegarsi con il mondo esterno. Dagli arredamenti scolastici (uguali a quelli del secolo scorso) alle materie e agli argomenti. Nonché alla didattica che da frontale e passiva deve diventare attiva. Da insegnamento ad apprendimento. Non sono solo io a dirlo, il World Economics Forum ha espressamente elencato le competenze dell’uomo nel 2020:
- la creatività
- il pensiero critico
- il problem solving
Se ti è piaciuto questo articolo, a questi link puoi leggere i precedenti articoli della rubrica “Educazione Digitale”: