Non basta essere d’accordo con Greta. Siamo al lavoro per salvare i nostri mari

La Terra, per il 70 per cento della sua superficie, è ricoperta da acqua: un miliardo e mezzo di metri cubi, di cui il 97 per cento di acqua salata dei mari e il rimanente 3 per cento di acqua dolce (laghi, fiumi, ghiacciaie, acque sotterranee).

L’inquinamento marino è originato principalmente da attività terrestri a cui va aggiunto l’inquinamento causato dagli idrocarburi riversati dalle imbarcazioni che ripuliscono le proprie cisterne o dagli incidenti navali che, negli ultimi anni, hanno provocato lo sversamento in mare migliaia di tonnellate di petrolio.

Tra le altre attività che contribuiscono ad inquinare i nostri mari vanno citate quelle industriali e quelle agricole. Le prime, in particolare, producono enormi quantità di rifiuti che contengono svariate sostanze chimiche tossiche, persistenti nell’ambiente. Per lo più scarti liquidi che andrebbero sottoposti a depurazione ma che invece, da sempre, vengono immessi nelle acque privi di qualsiasi trattamento depurativo.

Forte anche l’impatto dei pesticidi usati sulle piante che, attraverso l’irrigazione o, più semplicemente, a causa delle piogge, finiscono nelle falda e da lì nei corsi d’acqua.
Ma ciò che, ormai da tempo, desta maggiori preoccupazioni per le conseguenze sulla salute umana e sull’intero ecosistema, è l’inquinamento derivante dalla plastica: parliamo di una delle più gravi emergenze dell’epoca moderna.

I mari sono ormai invasi dalla plastica, le cui quantità hanno raggiunto livelli talmente elevati da determinare la formazione di vere e proprie isole di plastica, enormi piattaforme due della quali si trovano nel Pacifico, due nell’Atlantico e una nell’Oceano Indiano.

Nel Mediterraneo la plastica rappresenta il 95% dei rifiuti in esso presenti e proviene principalmente da Turchia, Spagna, Italia, Egitto e Francia. Le specie marine presenti ingeriscono quotidianamente plastiche e microplastiche spesso con conseguenze letali.

Per quel che riguarda l’Italia, secondo il Report “Fermiamo l’inquinamento da Plastica” 2019 del WWF, il 4% dei rifiuti in plastica è trasportato dai fiumi, con il Po che rappresenta una delle principali fonti di inquinamento, seguito dal Tevere.

Il 18% proviene da attività di pesca, acquacoltura e navigazione, il 78% proviene dalle attività costiere, a causa di una gestione inefficiente dei rifiuti, di un intenso flusso turistico e delle attività ricreative. Le città costiere che producono più rifiuti sono Catania, Bari, Roma, Palermo e Napoli.

Le coste italiane ricevono in media 5,3 Kg di rifiuti plastici per chilometro. Nelle acque italiane è stata rilevata una concentrazione di plastica galleggiante tra le più alte del Mediterraneo, con oltre 20 grammi per metro cubo di frammenti plastici nel nord dell’Adriatico, nella zona del delta del Po e nella laguna di Venezia.
Secondo Legambiente, i più comuni oggetti rinvenibili sulle spiagge sono costituiti da frammenti di piccole dimensioni, tappi, bastoncini cotonati, pezzi di polistirolo, bottiglie e contenitori per alimenti e stoviglie monouso.

In quest’ottica si inserisce la Legge “Salva Mare” fortemente voluta dal ministro dell’Ambiente Sergio Costa che introduce importanti disposizioni per la promozione e il recupero dei rifiuti in mare nell’ottica dell’economia circolare con l’obiettivo di contribuire al risanamento dell’ecosistema marino, favorendo il recupero dei rifiuti accidentalmente pescati, autorizzando gli stessi pescatori a portare a terra la plastica finita nelle reti e a conferirla presso i centri di raccolta portuali, con il riconoscimento di meccanismi premiali, incentivando le campagne volontarie di pulizia del mare e sensibilizzando la collettività per la diffusione di modelli comportamentali virtuosi rivolti alla prevenzione del fenomeno dell’abbandono dei rifiuti in mare, nei laghi, nei fiumi e nelle lagune.

La tutela del mare dall’inquinamento da materiale plastico non può, pero, prescindere da un’azione di prevenzione, attuabile esclusivamente attraverso la predisposizione di sistemi volti a disincentivare l’impiego di prodotti in plastica monouso. Ed è proprio questo l’obiettivo della nuova “Plastic tax”, introdotta dalla legge di Bilancio 2020 che attraverso lo strumento della leva fiscale promuove sia un’inversione di tendenza nell’utilizzo comune dei prodotti in plastica che una progressiva riduzione della produzione di manufatti di plastica monouso.

Il Governo, in tal modo, in un’ottica di sostenibilità, vuole orientare il sistema produttivo verso un’economia circolare che diffonda la cultura del riciclo e dismetta definitivamente quella del rifiuto.


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