Sentiamo sulle nostre spalle tutto il peso e la responsabilità della gestione della più grande emergenza sanitaria e sociale dal dopoguerra ad oggi.
Questo governo e questo parlamento non si sono mai fermati un solo giorno nella lotta contro questa pandemia.
Una guerra silenziosa, che ha finora comportato una ingente perdita di vite umane, nonostante i dati diffusi ieri dall’Organizzazione Mondiale della Sanità indichino che grazie alle misure messe in atto in Italia si siano scongiurati ulteriori 38.000 decessi.
Siamo in trincea. Sono in trincea i cittadini che lottano per andare avanti e che adesso, oltre al timore per la salute di sè e dei propri cari, temono le ripercussioni economiche e sociali di questa crisi.
Siamo in trincea tutti noi, che da legislatori lavoriamo per mettere in campo le misure necessarie per arginare questa immane tragedia.
Sono in trincea però soprattutto quelli che operano in prima linea, tutte le forze dell’ordine, il personale sanitario e dei servizi essenziali.
Infine c’è la trincea più dolorosa, quella dei malati. Non solo quelli ricoverati che affrontano in ospedale il calvario della malattia, ma anche tutti quelli che nelle loro case aspettano troppo a lungo una presa in carico che permetta poi di essere inseriti nel percorso di cura di questa malattia.
Noi di certo non intendiamo seguire le orme di chi continua a speculare su una tragedia di simile portata. Crediamo che non sia questo il momento delle recriminazioni e della caccia alle responsabilità, ma sia invece il momento di mettersi al lavoro insieme, con la voglia di aiutare il Paese a superare presto questo buio cercando le soluzioni più scientificamente valide.
Noi siamo al lavoro, ciascuno con le proprie competenze e dando il meglio di sé. Io da medico, da ricercatrice, ho studiato i dati e li ho confrontati con quelli degli altri paesi, ho esaminato tutti i protocolli terapeutici, con la volontà e la speranza di trovare uno spiraglio.
Ed oggi voglio esporre i risultati cui sono giunta: al distanziamento sociale, necessario in questa fase per ridurre i contagi, deve seguire la messa a punto di strategie a lungo termine che servano per arginare l’eventuale ripresa della diffusione del virus quando, inevitabilmente, si allenteranno le misure restrittive.
Tutto questo deve necessariamente passare attraverso una visione di sanità e di salute pubblica che abbia al centro l’intera comunità e che indirizzi le risorse verso un reale potenziamento dell’assistenza sanitaria territoriale con strumenti di telemedicina e nuove tecnologie.
Bisogna puntare sulle cure domiciliari, sulla presa in carico precoce dei pazienti positivi accelerando le procedure di diagnosi e di indirizzo di ogni ammalato verso il percorso terapeutico più idoneo, secondo linee guida nazionali.
E’ dall’inizio di questa Legislatura che, con i miei colleghi della Commissione Igiene e Sanità del Senato, poniamo l’attenzione sulla necessità estrema di fortificare la medicina territoriale facendo finalmente partire quelle famose reti di cure primarie ed intermedie che in molte regioni sono del tutto inesistenti.
Potenziare l’assistenza territoriale significa trattare i pazienti Covid in fase precoce e provare a ridurre i ricoveri, evitando di saturare le terapie intensive e scongiurando che gli ospedali diventino essi stessi focolaio.
Già nel decreto 14 del 9 Marzo erano previste le Unità Speciali di Continuità Assistenziale; squadre di medici del territorio con il compito di diagnosticare, curare e monitorare i pazienti a domicilio. E’ fondamentale che adesso le Regioni diano attuazione a questo piano. A tal proposito ad Aifa (Agenzia italiana del farmaco) va il mio ed il nostro ringraziamento per aver mosso un primo passo in questa direzione, dando il via libera alla somministrazione domiciliare di antivirali ed antimalarici; farmaci che in moltissimi casi, ne sono certa, aiuteranno a salvare vite umane consentendo la cura della malattia prima dell’insorgere di complicanze polmonari.
Per tracciare l’evolversi e la diffusione dell’epidemia è fondamentale inoltre puntare su strumenti di analisi a tappeto dei contagi, anche degli asintomatici soprattutto nei luoghi sensibili (ospedali, residenze per anziani, scuole, etc) e degli immuni e per attuare questa sorveglianza ci auguriamo che possano essere presto disponibili test in grado di rilevare la risposta anticorpale all’infezione.
L’analisi dei dati di questa epidemia evidenzia però con chiarezza anche un altro dato critico: l’eterogeneità tra le strategie attuate nelle varie regioni. È apparso da subito chiaro infatti che la diversità nella capacità di contenere i contagi e garantire l’isolamento, fosse legata ad una diversa organizzazione dei sistemi sanitari regionali. Ed infatti, dopo aver provato a sostenere che potessero esistere diverse soluzioni ad un unico problema e dopo aver cercato di addossare ad altri le proprie colpe, scaricando sul governo ogni responsabilità, molti esponenti regionali hanno poi invocato misure draconiane da parte del governo.
Non c’è più posto per 20 sanità regionali, differenti tra loro. Occorre ripristinare un sistema sanitario nazionale. Perché la salute pubblica richiede un indirizzo unitario che garantisca ai cittadini, su tutto il territorio nazionale, lo stesso diritto alle cure.
Bisogna interrogarsi sull’attuale titolo V della Costituzione e sulla necessità di affidare la gestione della sanità ad un indirizzo centrale, dello stato con il concorso delle regioni. Bisogna rilanciare il sistema sanitario pubblico investendo in modo deciso, come fatto in questi due anni, in ricerca ed innovazione tecnologica. Bisogna perseguire sulla strada intrapresa della valorizzazione del personale sanitario, riconoscendone il merito e le competenze. Bisogna rivedere il ruolo della sanità privata che deve davvero essere integrativa e non sostitutiva.
Oggi è chiaro a tutti cosa abbiano significato i 37 miliardi di tagli alla Sanità in dieci anni. I 71.000 posti letto ed i 46.500 medici ed infermieri che la sanità pubblica ha perso dal 2009 al 2017.
Oggi la priorità è fare fronte a questa pandemia ad ogni costo, con iniziative straordinarie, ma poi dovremo rivedere con senso critico le politiche sanitarie dell’ultimo decennio e mettere in campo scelte coraggiose avendo visione del futuro che vogliamo costruire.
E allora, continuiamo a lavorare con l’impegno che ci contraddistingue e facciamo sentire ai nostri concittadini quanto gli siamo vicini, quanto siamo tutti sulla stessa barca, quanto anche noi siamo pronti a sacrificare noi stessi per il bene comune. Il nostro capo politico ha fatto un appello ai parlamentari di tutte le forze politiche di dimezzare il proprio stipendio. Noi lo facciamo da sempre. Abbiamo già destinato 3 milioni di euro alla Protezione Civile per potenziare i reparti di terapia intensiva.
Adesso possiamo fare di più, tutti insieme. Stiamo assistendo ad esempi commoventi di solidarietà. Di chi, in questo momento di difficoltà, è disposto a sacrificare il poco che ha per alleviare la sofferenza degli altri.
Seguiamo l’esempio degli imprenditori che stanno sacrificando il lavoro di una vita riconvertendo le proprie aziende per produrre attrezzature medicali; seguiamo l’esempio degli operatori sanitari, delle forze dell’ordine, degli operatori dei servizi essenziali che stanno sacrificando il proprio tempo, le proprie famiglie, la propria vita, per tutelare la sicurezza e la salute di noi tutti, a mani nude, senza le adeguate protezioni perché nessuna regione aveva provveduto a stoccare i DPI necessari previsti nel piano pandemico nazionale; seguiamo l’esempio dei giovani che stanno aiutando gli anziani a fare la spesa per tenerli al riparo nelle proprie case; seguiamo l’esempio dei volontari che assistono le famiglie con bambini e ragazzi disabili in questa fase di solitudine; seguiamo l’esempio della “spesa sospesa” e della solidarietà digitale.
Perché l’Italia è un grande Paese e saprà rialzarsi più forte di prima se tutti noi sapremo lottare insieme per il bene comune mettendo in gioco la parte migliore di noi stessi perché ce la faremo solo restando uniti.