Pubblichiamo di seguito la lettera di Manlio Di Stefano, Sottosegretario agli Affari Esteri con delega all’internazionalizzazione delle imprese e all’attrazione degli investimenti, al direttore del Fatto Quotidiano.
Caro direttore,
i recenti articoli di stampa, da ultimo il Fatto Quotidiano del 06.04, mi portano a condividere la strategia che sta ispirando questa febbrile opera di pianificazione che da qualche tempo ho avviato, insieme al ministro Di Maio, con ICE e il gruppo Cassa Depositi e Prestiti.
L’internazionalizzazione e la promozione del commercio estero, cuore delle mie deleghe in Farnesina, sono una componente fondamentale della nostra azione perché insistono su quella parte di Pil, derivante dall’export, che crescendo costantemente negli ultimi anni ha contribuito a tenere a galla la nostra economia con un volume complessivo di 475.8 mld di euro nel ’19 (+2,3% sul ’18), pari al 32% dell’intero Pil del nostro Paese.
Gli scenari che emergono da questa crisi pandemica di portata epocale, con un inevitabile condizionamento delle abitudini dei cittadini/consumatori, prevedono uno “sparigliamento” di carte senza precedenti tanto nella società quanto nel business.
Basta vedere il cambiamento che, già oggi, il Covid-19 ha comportato al nostro modo di lavorare (smart working), di fare riunioni e persino lezioni a scuola (videoconference), di comprare beni (ecommerce). È già in atto un inesorabile, per quanto forzato, spostamento delle nostre società verso una cultura del digitale.
Con un occhio all’Estremo Oriente, che parte già da un’esperienza di isolamento sanitario (dai tempi della Sars) e di digitalizzazione delle proprie economie più avanzate della nostra (in Cina con Wechat e Alibaba e in Giappone con Rakuten), possiamo trarre alcuni indicatori di cosa potrà portare, applicato all’Occidente, il post-Covid: uno stile di vita più chiuso e sparagnino di prima, un globale “new frugal” che rischia di investire le nostre economie, riducendo incassi, giri d’affari, movimento di circolante, e con la prospettiva che le imprese più piccole, impreparate a questi nuovi scenari, siano spazzate via dal mercato.
In tale fosco contesto, uno spiraglio di luce si intravede proprio nel digitale, quel digitale cui ci stiamo aggrappando in tempo di pandemia e da cui rischiamo di dipendere sempre di più di qui a qualche mese. Noi irriducibili ottimisti siamo quindi portati a pensare che non tutto il male venga per nuocere: finalmente l’Italia potrà dotarsi di quelle infrastrutture digitali che le consentiranno di rinnovarsi!
Per attrezzarci, non rimane molto tempo. Bisogna avviare uno spostamento, epocale quanto questo maledetto virus, delle nostre Pmi verso forme di digitalizzazione del commercio e della prestazione dei servizi, che diverranno un prerequisito ancora più indispensabile rispetto all’era pre-Covid per l’internazionalizzazione della stessa economia.
Per aumentare la presenza delle Pmi nell’eCommerce globale abbiamo bisogno di colmare con soluzioni all’avanguardia l’arretratezza italiana (ed europea) nei pilastri dell’eCommerce ovvero logistica, pagamenti, protezione dei dati e piattaforma. Uno sforzo congiunto e multilivello che, ad esempio, potrebbe partire dall’immenso patrimonio di presenza sul territorio rappresentato da Poste Italiane e da altre realtà virtuose specialmente nel mondo della moda. Dobbiamo favorire la digitalizzazione delle imprese a tutti i livelli con investimenti pubblici a sostegno (voucher innovazione), diffondere la cultura del digitale con campagne specifiche di formazione e abbassare drasticamente i costi di accesso ai marketplace globali. Su questi pilastri abbiamo stanziato ingenti risorse a partire dal decreto Cura Italia e, recentemente, ho avviato con ICE una riflessione sulla fattibilità di un nuovo portale integrato italiano di promozione ed eCommerce, che non replichi gli errori del passato e consenta alle nostre micro imprese di accedere, in modo equo e al riparo da forme di monopolio e concorrenza sleale, ai mercati mondiali. Un portale che sfrutti a 360 gradi tutte le componenti dell’irresistibile appeal che risiede non solo nel prodotto Made in Italy, ma anche nelle bellezze paesaggistiche, culturali e turistiche.
Un nuovo Rinascimento ‘digitale’ italiano dalle ceneri del Covid-19.