L’emergenza Coronavirus ha costretto la scuola ad affrontare una sfida importante e impegnativa, quella della didattica a distanza.
Una sfida che ha colto insegnanti e studenti di sorpresa e nella totale impreparazione, tuttavia con tanta voglia di rimboccarsi le maniche per non lasciare andare la comunità scolastica al suo destino e mantenere la continuità educativa.
Tutte le scuole, tutti gli insegnanti e tutte le famiglie si sono impegnati per sfruttare le tecnologie, le piattaforme, le app anche se prima d’ora non avevano mai avuto indicazioni ministeriali e piattaforme ufficiali fornite dal ministero per la didattica on line.
In questa piena emergenza si deve dare atto che tutti gli attori sono riusciti a organizzarsi al meglio per imparare velocemente a utilizzare le piattaforme e a sfruttarle per veicolare l’offerta formativa e mantenere unite le classi.
Dopo questo inizio turbolento, ora che la situazione si sta stabilizzando e comprendiamo che la didattica on line non ci abbandonerà più, dobbiamo assolutamente iniziare a conoscere come funzionano esattamente le diverse piattaforme e come il loro funzionamento impatta sulle vite presenti e future di chi le usa, insegnanti, genitori e alunni.
Sulla didattica a distanza è opportuno fornire indicazioni chiare alla grande platea di fruitori oggi costituita da insegnanti ed educatori che si stanno cimentando con la vasta gamma di strumenti e piattaforme che il mercato mette a disposizione.
Tutte le piattaforme permettono lo scambio dei dati tra gli utilizzatori, e tutti questi dati, mentre vengono scambiati tra i vari soggetti, vengono anche registrati su server centralizzati. Parliamo di email, calendari, rubriche di contatti, chat, documenti, progetti, immagini e così via. Anche le piattaforme che permettono di fare la videoconferenza di classe nella stragrande maggioranza dei casi registrano sul server centrale l’intera videochiamata.
Consapevoli dell’immane quantità di dati trasmessi ed eventualmente memorizzati dalle piattaforme, ci si deve domandare per quali altri scopi possano essere utilizzati e le risposte le troviamo nei contratti di servizio e nelle privacy policy, che è sempre utile leggere e approfondire per opportuna conoscenza.
In ambito educativo e scolastico, la direzione che appare comunque più corretta dal punto di vista etico è il software libero che permette di evitare la “monetizzazione” dei dati personali degli utenti, soprattutto in questo ambito in cui sono coinvolti principalmente i minori. Ed è una possibilità più che concreta, peraltro messa a disposizione anche da aziende italiane, da enti pubblici o da community di volontari. Come per esempio le piattaforme universitarie, che possono essere rese disponibili alle scuole di ogni ordine e grado, senz’altro con maggiori garanzie rispetto ai colossi stranieri.
I software open source per il lavoro da remoto consentono di evitare l’acquisto di software proprietari.
Pensiamo per esempio alla videoconferenza, molto utile quando si tratta di didattica a distanza. La principale applicazione open source è Jitsi, che permette di partecipare solo con un browser e che non ha tra i suoi obiettivi la profilazione degli utenti. La piattaforma per le videoconferenze è meet.jit.si che non richiede neanche la registrazione ma che in questo periodo rischia di essere sovraccarica. Proprio per questa ragione, la comunità open source in Italia si è organizzata e ha risposto costruendo una rete di server jitsi disponibili a tutti senza registrazione che si trova su iorestoacasa.work. Questo sistema, tutto italiano, gratuito e open source, nasce dall’iniziativa di un team di sviluppatori di Fabriano, al quale hanno aderito anche il Centro Nazionale delle Ricerche e la Rete Italiana dell’Istruzione e della Ricerca nota come GARR. In questo caso, l’intento è di creare una rete di server italiani e indipendenti, adibiti a fornire il servizio di videoconferenza, senza memorizzazione delle videochiamate e quindi con la garanzia che gli utenti non vengano profilati.
Un altro software per le videoconferenze, ottimizzato per la didattica a distanza, è BigBlueButton per il quale però non esiste un servizio simile come quello creato per jitsi.
Il Politecnico di Torino dispone del portale per la “dad” Fare, che offre diverse risorse sia in termini di servizi che di contenuti. Per chiedere informazioni si può scrivere a fare@polito.it.
Tra i programmi per comunicare in modo asincrono, ecco qualche suggerimento utile. Per le mail è interessante Thunderbird, che permette di gestire più indirizzi mail, è facile da installare e da configurare e si possono aggiungere funzioni importanti per la firma digitale, l’invio di dati sensibili e di messaggi personalizzati.
Per le chat ci sono software multipiattaforma come Telegram; Signal, che offre anche crittografia end-to-end; Riot che permette di creare “stanze” per la condivisione con altri utenti.
Se si deve lavorare in tempo reale su un documento o un foglio elettronico, si possono utilizzare Etherpad o Ethercalc nelle versioni messe a disposizioni da Framasoft, comunità senza scopo di lucro che ha creato una serie di servizi open source a disposizione di tutti, a partire dalle scuole; così si ha la certezza che i contenuti restino di nostra proprietà.
Da segnalare poi la community Lavagna Libera che raggruppa un migliaio di utenti in rete tra insegnanti, genitori e studenti, dove poter attingere informazioni e suggerimenti e tante risorse di software libero per la scuola.
Ci sono poi insegnanti che hanno già installato nel server delle scuole piattaforme e-learning open source, in grado di reggere l’utilizzo di un’utenza numerosa, come ad esempio Moodle o Chamilo.
Interessante ascoltare l’esperienza di un professore trentino, Matteo Ruffoni, che ha scelto di andare proprio in questa direzione.
Non si vuole assolutamente demonizzare l’utilizzo delle piattaforme più comuni e diffuse, che in un momento di emergenza hanno senz’altro contribuito a dare l’avvio generalizzato alla didattica a distanza. Tuttavia se la comunità scolastica sceglierà in numero sempre maggiore l’utilizzo di soluzioni open source, avrà veramente l’occasione di maturare profondamente nelle competenze digitali e darà l’occasione alle nostre nuove generazioni di dotarsi di un bagaglio culturale di cui c’è estremo bisogno per i lavori del futuro e per una cittadinanza digitale pienamente consapevole.