Il pianoforte era il cuore pulsante di Ezio Bosso. Il suo ciuffo era ribelle. Genio assoluto, eccezionale artista, Maestro di umanità. “È la musica che mi ha scelto”, ripeteva quasi a sminuirsi.
La musica, in effetti, gli ha riempito l’esistenza oltre ad avergli fatto ottenere riconoscenze, premi e cittadinanze onorarie. Bosso – uno dei pianisti, compositori e direttori d’orchestra di maggior talento del panorama musicale internazionale – ci ha lasciato, a 48 anni. Una notizia che lascia sgomenti e riempie di infinita tristezza il mondo della cultura e il Paese intero. Con lui se ne va non solo un artista straordinario, ma un grande uomo, che ha sempre insistito sul valore formativo e sociale della musica: “Cambia la vita perché è di tutti e pone tutti sullo stesso piano”, diceva. Era una persona libera, il suo pensiero lo aveva spinto a considerare la musica come un patrimonio universale. Una necessità comune il cui accesso deve essere garantito a tutti.
La musica è stata di fatto tutta la sua vita: iniziò lo studio all’età di 4 anni imparando a leggere le note prima delle parole. Merito di una zia. “Tale studio è la base di quello che sono oggi. È la conferma di come quella disciplina, anche se a volte complessa e faticosa per un bambino, si rivelò per me qualcosa di meraviglioso, un’esperienza fondante” raccontava Ezio. Così si è battuto affinché l’educazione musicale venisse inserita nelle scuole, fin dalla materna. D’altronde – amava ribadire – la musica, essendo un grande collante sociale, è associabile a tutto, persino al cibo; potrebbe rappresentare un collegamento tra una materia e l’altra, rendendole meno avulse ed evitando il rischio di cadere in nozionismi morti. “Io sono un umanista, continuo a sognare un mondo che guarda alle cose, non che tenta la sorte”, era il suo monito.
Pacato, di una sensibilità unica. Oltre a centinaia di componimenti e performance, ha avuto un sodalizio cinematografico con il regista Gabriele Salvatores, per cui ha firmato la colonna sonora di “Io non ho paura”, “Quo vadis, baby” e “Il ragazzo invisibile”.
La malattia degenerativa – che lo aveva costretto dal 2011 alla sedia a rotelle – era solo un minuscolo puntino che non gli ha impedito di essere un grandissimo artista e uomo. Si sentiva un privilegiato grazie al suo pianoforte. Ci ha insegnato molto, da tutti i punti di vista.
Grazie Maestro. Ci mancherai.