Nella fase 2 dell’emergenza coronavirus si parla tanto delle “3 T”, e cioè testare, tracciare e trattare. Io vorrei lanciare le “3 I”: investigare, imparare e investire.
Queste “3 I” consentiranno di far ripartire il nostro Servizio sanitario nazionale, per migliorarlo attraverso l’esperienza vissuta. “La storia non la può fermare nessuno, non ha nascondigli. La storia non passa la mano”, lo ha scritto Francesco De Gregori nel bel brano la “Storia siamo noi”. E la storia del coronavirus, quello che abbiamo vissuto, oggi non ci consente più di dire che non dobbiamo fare qualcosa per la sanità del nostro Paese. Perché migliorare la nostra sanità significa migliorare la vita di ogni cittadino: solo se siamo sani e abbiamo accesso alle migliori cure, siamo in grado di produrre, di tornare a correre in termini di impegni, di attività.
Da ricercatore e medico le “3 I” devono diventare fondamentali: investigare, per capire cosa non è andato bene e cosa esattamente non ha funzionato. In latino investigare significa “seguire le tracce”, ricercare con cura, trovare ogni indizio che aiuti a scoprire ma soprattutto a conoscere. Senza la conoscenza di quanto è accaduto e come eravamo attrezzati ad affrontarlo, non abbiamo modo di migliorarci.
La seconda “I” è infatti imparare: Imparare serve a costruire il futuro, è la base per capire i segni di debolezza da rafforzare, su cosa serve puntare.
Ed ecco la terza “I”: investire, il terzo snodo cruciale. Investire significa anche formare, consentire l’acquisizione di informazioni, potenziare il nostro capitale umano. E di conseguenza adeguare le risorse, mettere a disposizione dei fondi.
Se noi, partendo da questa esperienza, non investighiamo, non impariamo e non investiamo, non potremo mai cambiare questo nostro Ssn e risolvere problemi latenti. L’errore non è mai del singolo, ma di sistema. Siamo rimasti indietro, accumulando ritardi e problemi. Le tre I sono l’occasione per la ripartenza della sanità del nostro Paese, della salute di tutti.