La mappa delle società più capitalizzate al mondo vede: Apple (1,37 trillion US$); Microsoft (1,36); Amazon (1,04); Alphabet (1,02); Facebook (0,6); Alibaba (0,57); Tencent (0,49). Gli utili netti generati globalmente dalle nuove “sette sorelle” (in omaggio a Enrico Mattei) nel 2018 sono stati di 164 miliardi di dollari. La sede fiscale delle 2 cinesi sono le isole Cayman. Le aziende statunitensi (con l’eccezione di Microsoft) hanno la sede nel Delaware. Entrambi sono paradisi fiscali. Come riporta Mediobanca alcuni strumenti come il cash pooling e la tesoreria accentrata sono usati per pagare l’80% delle tasse nei paesi a “fiscalità agevolata”. Queste aziende generano alti profitti per ogni dipendente: Facebook (621 mila US$) Apple (540 mila US$), Alphabeth (321 mila US$). Numeri paragonabili solo al gigante petrolifero Saudi Aramco (1452 mila US$). Dall’altro lato della barricata troviamo Walmart che con i suoi 2,2 milioni di dipendenti genera 3000 US$ di utili cadauno.
Il loro vero asset sono i dati che gli utenti forniscono loro in maniera più o meno consapevole. Il comportamento dei Big Tech è “trasverso”: la proprietà dei dati immessi resta degli utenti ma loro si riservano il diritto di usarli. È questa enorme quantità di dati che permette la profilazione degli utenti che diventano il prodotto che viene venduto a terzi. Oggi anche i dati fisici (dall’impronta digitale al volto) vengono forniti per accedere ai servizi facendoci diventare sempre di più un anonimo insieme di codici.
I giganti del web stanno implementando la loro potenza entrando anche nel settore dei servizi finanziari. Amazon, Google, Facebook, hanno attenuto la licenza bancaria in Lussemburgo, Lituania, Irlanda anche se il loro posizionamento, ad oggi, sembra sia inquadrabile in quello di intermediario tra clienti e banche. In questo modo acquisiscono sempre più fiducia dagli utilizzatori dei loro sistemi senza sottostare alle rigide regolamentazioni del sistema bancario. I dati che acquisiscono in questa operazione profilano sempre di più gli utenti per offrirgli servizi sempre più personalizzati. Già oggi le “sette sorelle” utilizzano i loro sistemi per i pagamenti P2P. Apple Pay è lo strumento di pagamento digitale più utilizzato al Mondo seguito da Google Pay. In Cina Wechat, lo strumento di messaggistica di Tencent, ha oltre un miliardo di utenti. Nel sistema è incorporato Wechat Pay che permette di pagare appoggiandosi a banche cinesi. Alibaba già 4 anni fa ha fondato una banca (Mybank) che opera senza alcuna filiale ma solo in cloud. Mybank dà crediti alle PMI basandosi su algoritmi di intelligenza artificiale e sui big data. I tempi di istruttoria della pratica e dell’erogazione del prestito sono contenuti in una media di 180 secondi. Ad oggi sono stati concessi prestiti alle PMI cinesi per valori di 110 miliardi di dollari e con sofferenze contenute nell’1%. L’equivalente cinese di Paypal, Alipay ha raggiunto il miliardo di utenti/clienti. Amazon Landing dal 2011 concede prestiti alle PMI che vendono prodotti tramite le loro piattaforme. Ha già siglato un accordo con Bank of America e ne sta per siglare un altro con Goldman Sachs. I 5 milioni di aziende che usano Amazon potranno quindi utilizzare Landing per ottenere prestiti. Alibaba è entrata in Europa per contrastare Amazon sul e-commerce con la sua piattaforma Aliexpress fornendo servizi low-cost che stanno attraendo molte piccole aziende. La piattaforma indiana di e-commerce PayTM, che ha 350 milioni di utenti, è partecipata per il 42% da Alibaba.
L’annuncio a giugno dello scorso anno da parte di Facebook del lancio della criptovaluta Libra (gestita da una società separata di nome Calibra la cui sede operativa dovrebbe essere in Svizzera) ha destato molto clamore. Libra si colloca nel ramo delle stablecoin ovvero delle valute digitali che hanno alle spalle degli asset reali che ne garantiscono il valore (nel caso di Libra non sarà ancorata a dollaro o euro ma ad un paniere di depositi su vari mercati valutari). Questo per evitare la volatilità tipica delle criptovalute come per esempio Bitcoin (per il cui utilizzo nel 2020 si utilizzeranno 70 TWh pari al consumo annuale del Cile). Facebook ha 2,5 miliardi di utenti in tutto il modo che potrebbero usare Libra come moneta di scambio. Durante l’audizione al Congresso, Zuckerberg ha dichiarato: “Libra sarà sostenuta principalmente da dollari e credo che estenderà la leadership finanziaria americana, nonché i nostri valori democratici e il controllo in tutto il Mondo”. Parole che dovrebbero preoccupare tutti coloro che gestiscono la res-publica. Nello stesso campo stanno preparandosi ad entrare anche Amazon e Google. JP Morgan ha messo in campo uno stablecoin chiamato JPM Coin che è ancorato al dollaro ed usato solo per i clienti business in fase di transazione, per poi essere riconvertiti in dollari. Di fronte all’entrata dei big tech nel campo delle monete virtuali alcuni Stati stanno prendendo contromisure. In Cina il governo vuole introdurre una valuta digitale pubblica emessa dalla banca centrale che funzionerebbe come Alipay. In Svezia hanno iniziato i test della E-Corona una valuta digitale emessa dalla banca centrale. La BCE ha annunciato un progetto analogo a quello di Facebook chiamato Eurochain. Come Libra, Eurochain sarà un sistema centralizzato antitetico rispetto a quello decentralizzato tipo Bitcoin.
Anche nel campo sanitario i movimenti degli OTT sono in corso. Google ha sottoscritto un accordo con Ascension, la seconda catena di ospedali e cliniche più grande negli USA (2600 plessi), per monitorare i dati di 50 milioni di cittadini. Questi dati sono implementati con altri sistemi di misura in campo (come FitBit) e poi stoccati su Google Cloud ed “affidati alle cure” di sistemi di IA e apprendimento automatico.
Tutto il sistema del web si appoggia su una infrastruttura composta: a) dalla rete elettrica che costituisce l’infrastruttura abilitante (ovvero l’alimentazione); b) la rete di cavi sottomarini e terrestri su cui si muove il 97% dei dati; c) i ripetitori del segnale per l’utilizzo degli smartphone; d) i datacenter in cui sono allocate le piattaforme Cloud per lo storage dei dati.
La spesa globale per infrastrutture Cloud è salita da 5 a 100 miliardi di US$/anno in dieci anni con un andamento esponenziale. I giganti in questo settore, in ordine di fatturato, sono: Amazon, Microsoft, Google, IBM, Alibaba, Salesforce e Tencent. IBM e Salesforce sono molto forti in specifici settori di mercato mentre gli altri dominano nel public cloud controllando i tre quarti del mercato totale. I ricavi complessivi dei sette “nuvolari” ammontano a 97 miliardi di US$ nel 2019. I datacenter sono ridondati in varie parti nel mondo sia per un motivo di sicurezza sia per diminuire la latenza ed offrire soluzioni più smart per gli utenti.
La rete di cavi sottomarini si estende per oltre 1,2 milioni di chilometri (tre volte la distanza Terra-Luna) ed è in gran parte di proprietà di consorzi di aziende telefoniche ma i big player hanno posato cavi per liberarsi da vincoli di utilizzo di cavi altrui. Amazon non ha posato cavi ma ha recentemente lanciato il progetto Kuiper che prevede la messa in orbita di 3236 satelliti a bassa quota per collegare anche le zone più remote del globo. In questo modo Jeff Bezos pensa di realizzare la “sua” infrastruttura globale.
Insomma al dominio sui dati si aggiunge quello sulle infrastrutture. Sia quelle dove gli stessi vengono stoccati (cloud) sia su quelle di trasporto per svincolarsi anche dai limiti della movimentazione via terzi a lunga distanza tra i continenti.
L’ultima frontiera su cui i giganti del web stanno lavorando è quella dell’intelligenza artificiale. I sistemi di apprendimento automatico richiedono enormi quantità di dati, dati che loro hanno. Ai GAFAM statunitensi fanno da contraltare i BAT cinesi. Alcuni di questi strumenti sono già entrati nella vita quotidiana delle persone. Basti pensare agli assistenti virtuali come Alexa (Amazon), Google Home, Xiaowei (di Xiaomi integrato in Wechat di Tencent), AllGenie (Alibaba) ed agli assistenti vocali come Siri (Apple) e Cortana (Microsoft). L’utilizzo di questi strumenti da parte delle persone non fa altro che allenarle a diventare sempre più capaci e performanti aumentando il senso di soddisfazione da parte degli utenti. L’integrazione dell’internet delle cose (IoT) con gli assistenti virtuali contribuisce ad aumentare a dismisura il volume dei dati. La domotica è già oggi integrata nei sistemi virtuali degli OTT. Da remoto si può gestire casa e persino ricevere la spesa direttamente in frigo.