In Italia ogni anno lavorano nei campi 1 milione e 100mila persone: di queste, quasi 350mila è rappresentata da manodopera stagionale straniera che, a causa delle restrizioni per arginare la diffusione del Covid-19, non potrà prestare la propria opera nei lavori stagionali nelle campagne italiane.
Questo problema è oramai impellente e non più rinviabile vista l’imminente periodo di raccolta di tante colture. Le filiere agroalimentari, del resto, sono tra i pochi comparti che hanno sempre continuato ad operare nonostante le mille difficoltà, la chiusura di molti sbocchi commerciali e gli ovvi timori per la sicurezza e la salute. Ciò, però, ha permesso all’Italia di mantenere in piedi posti di lavoro nonché non perdere ulteriori percentuali di PIL. È pertanto doveroso per lo Stato italiano trovare soluzioni accettabili, concrete e rapide.
Ed è per questa ragione che il governo sta approntando una apposita misura per i lavoratori stagionali. Lo ripetiamo, l’obiettivo dell’intervento attualmente in discussione riguarda i lavoratori stagionali e non l’insieme dei cittadini irregolari, che sono altra questione da affrontare in altro modo e in un diverso momento.
Risulta innanzitutto necessario dare vita ad una piattaforma digitale istituzionale per l’incontro tra domanda e offerta in agricoltura.
La struttura è già stata realizzata da ANPAL: va solo adeguata alle esigenze e peculiarità del comparto primario e riempita con le informazioni presenti nei database di AGEA (imprese con localizzazione delle relative particelle di terreno e dei luoghi di lavoro) e di INPS (lavoratori).
Proprio negli elenchi INPS troviamo un primo potenziale bacino di possibile manodopera: sono circa 350mila i lavoratori (di cui 164mila stranieri) che storicamente non riescono a raggiungere le 50 giornate. Si tratta di persone che ha già prestato la propria opera in agricoltura e che, magari, non è riuscita a trovare nuove occasioni di lavoro ma che sarebbe molto propensa all’impiego in quanto la 51esima giornata rappresenta il traguardo per ottenere un primo sussidio al reddito, l’assegno di disoccupazione agricola.
Un secondo potenziale bacino potrebbe essere rappresentato da coloro che percepiscono sostegni al reddito (reddito di cittadinanza, Naspi) ma che desiderano avere altre entrate, attraverso lavori stagionali in agricoltura, a patto di non perdere però il proprio beneficio (in particolare adesso che stiamo affrontando questa emergenza), una volta terminata questa esperienza lavorativa. A tale scopo è necessaria una modifica normativa temporale ma ciò può avvenire con tempi molto rapidi.
Quella che oggi manca – è bene ribadirlo – è manodopera straniera che, per la maggior parte, normalmente è comunitaria e che oggi non è presente in Italia a causa del Covid-19: l’Ue nel frattempo ha agevolato la creazione di “corridoi verdi” per far giungere nei Paesi dove è necessario (Italia, Spagna, Portogallo) questi lavoratori agricoli in totale sicurezza.
Infine, ci sono gli immigrati irregolari già presenti sul nostro territorio. Una non meglio precisata stima di 600mila persone “invisibili”, troppo spesso costrette ad alimentare il mercato nero del comparto primario (con conseguente caporalto), dell’edilizia, dei servizi alla persona. Una regolarizzazione di massa tout court non rappresenterebbe, però, la risposta alle necessità di manodopera stagionale in agricoltura. Una platea che del resto è solo “potenziale”, in quanto nessuno può costringere queste persone all’impiego in agricoltura. Le diverse sanatorie degli immigrati irregolari (l’ultima fu del ministro dell’Interno Maroni, Lega) non hanno affatto risolto le problematiche.
Dobbiamo anche evitare il rischio di una competizione al ribasso del mercato del lavoro che si instaurerebbe se una regolarizzazione tour court riversasse i “potenziali” 600mila soggetti sul mercato del lavoro agricolo: molti irregolari andrebbero presumibilmente alla ricerca dell’imprenditore agricolo che garantisca poche giornate per ottenere il permesso stagionale, garantendo loro una permanenza legale ma non la manodopera nei campi.
Nel corso del 2019, il Decreto flussi aveva previsto che potevano essere chiamati a lavorare stagionalmente 30.850 lavoratori suddivisi tra varie nazionalità. Di questi, 12.850 posti erano riservati alle conversioni da stagionale a subordinato, a lavoro non subordinato e a lavoro autonomo. Gli altri 18.000 erano riservati ai primi ingressi nel settore agricolo e turistico alberghiero. Negli anni precedenti, la situazione era stata similare.
Sulla base di queste quote e dell’iter descritto per la trasformazione dei permessi stagionali in lavoro subordinato, si potrebbe stimare che almeno la metà del numero complessivo previsto dai decreti stagionali, non sia riuscita a stabilizzarsi nel nostro Paese e, quindi, siano rimasti in clandestinità. Una norma in tal senso metterebbe immediatamente a disposizione un bacino potenziale di circa 40.000 lavoratori.
La questione dei migranti irregolari è una problematica seria, complessa e che merita un confronto approfondito. In questo particolare momento, siamo chiamati a raggiungere un risultato concreto per le imprese, i lavoratori e l’economia nazionale: la necessità di avere manodopera stagionale in agricoltura. Un risultato differente rispetto a questo rischierebbe di rappresentare solamente una battaglia di parte poco utile, se non dannosa, per il Sistema Paese.