L’informatica, le fonti rinnovabili, l’industria spaziale e della difesa, la svolta green, insomma tutti i settori ad alta innovazione tecnologica dipendono da quei minerali classificati come terre rare oltre che da rame, litio e cobalto. Mentre la Cina è il più grande esportatore del mondo di terre rare e gli USA hanno disponibilità di risorse sul loro territorio, l’UE importa l’85% del suo fabbisogno.
Un’industria del futuro deve dipendere il meno possibile dall’estero per i minerali strategici. Sarà necessario raccogliere le energie del sistema di ricerca nazionale nonché di tutti i ricercatori italiani residenti all’estero che vogliono contribuire anche da remoto, per poi proseguire con degli appalti pre commerciali, per realizzare la “miniera nazionale”. Uno (o più) stabilimento produttivo che funziona come una miniera che estrae e massimizza il recupero di minerali dai rifiuti come ad esempio RAEE, marmitte catalitiche, batterie, pannelli FV. Una miniera che deve essere strutturata ed implementata dallo Stato insieme e tramite le articolazioni industriali da esso controllate. Nei settori strategici la legge del libero mercato può e deve essere superata. La disponibilità di risorse strategiche serve a garantire la forza contrattuale della collettività nazionale nei rapporti con gli Stati storicamente fornitori di quella risorsa. Solo con una riserva strategica si può combattere e vincere la sfida industriale dell’innovazione tecnologica.
Parallelamente alla creazione dei depositi strategici di materie prime è necessario aumentare la resilienza della supply chain, reinternalizzare le produzioni strategiche e le interconnessioni tra verticali produttivi nazionali.
Il sistema nazionale di produzione di beni materiali deve contribuire alla realizzazione di un database delle materie in ingresso ed in uscita dal ciclo di produzione. L’insieme dei flussi costituirà la base su cui gli innovatori potranno misurarsi al fine di creare nuove filiere o massimizzare l’efficienza di quelle esistenti. Una caratteristica dovrà essere quella di capire in che modo il sistema di produzione nazionale può rispondere alla produzione di beni che sono esclusivamente importati o come essere in grado di ridurre la dipendenza dall’estero. È necessario, per le imprese, identificare i componenti strategici delle varie produzioni e aumentare la resilienza con fornitori allocati in varie aree del mondo. Nel breve termine lo Stato potrebbe mettere in campo un meccanismo sulla falsariga di quello usato dal sistema elettrico (gli interrompibili) per assicurare la stabilità dello stesso. In tal senso si dovrebbero individuare le aziende in grado di sopperire alla mancata produzione nazionale di un segmento produttivo strategico e sostenere con incentivi quelle in grado di fornire una risposta immediata a quel tipo di produzione in caso di crisi sistemica.
Per avere una catena di fornitura sostenibile e resiliente è necessario un accorciamento della stessa (oltre alla ridondanza suddetta) almeno relativamente agli asset strategici per poi procedere alla reinternalizzazione della produzione connessa.
Per attuare ciò si rende necessaria la creazione di un database per la trasparenza della supply chain con la scomposizione dei prodotti e l’individuazione dei luoghi di approvvigionamento dei componenti. I componenti verranno suddivisi in strategici e non strategici. Lo Stato e gli operatori avranno così a disposizione il database dei componenti strategici e potranno pianificare le interconnessioni e le sovrapposizioni tra aziende (aumento della resilienza) e decidere quali elementi devo essere reinternalizzati nella produzione nazionale. Questo permetterà di migliorare di molto il livello di analisi basato sul sistema delle matrici di input-output attualmente redatte dall’ISTAT sul modello proposto dal premio Nobel per l’economia Wassily Leontief. Questo livello di dettaglio permetterebbe una migliore valutazione del rischio per il Paese (inteso come capacità produttiva) connesso alla vulnerabilità della supply-chain.
Le matrici input-output così implementate possono servire non solo a conoscere i flussi commerciali Italia-estero (anche al fine di identificare i componenti strategici che è necessario riportare nella produzione interna) ma anche a verificare se l’output di un’azienda può diventare input di altre al fine di ottimizzare i flussi interni e massimizzare la produzione di valore tra aziende nazionali.