Gli impianti sportivi sono allo stremo. A un passo dal collasso. E parliamo di un settore composto da circa 100mila associazioni sportive dilettantistiche e società sportive dilettantistiche, che dà lavoro a più di un milione di dipendenti e collaboratori e che, adesso, va aiutato e sostenuto.
Da judoka ed ex campione olimpionico mi sono sempre battuto in Parlamento per tutelare le piccole realtà sportive, che considero una risorsa per il benessere dei cittadini e del Paese. Il mio impegno, però, in queste ore è ancora maggiore, data la drammaticità della situazione generata dalla pandemia.
Il lockdown, necessario per evitare il diffondersi del virus, ha imposto infatti la chiusura dei centri sportivi per oltre due mesi producendo gravi danni anche sotto il profilo economico. Le entrate su cui si sostiene lo sport, prevalentemente istituzionali, derivanti da quote sociali o di tesseramento, non consentono di reggere davanti a uno stop forzato così prolungato.
Per fronteggiare la situazione, il governo ha intrapreso importanti provvedimenti di sostegno per il comparto sportivo: basta pensare al bonus di 600 euro o alla cassa integrazione per i collaboratori sportivi, e alle misure volte a tutelare le società, come i finanziamenti a fondo perduto o la sospensione e riduzione dei canoni di locazione. Ma se molto è stato fatto, altre iniziative sono ancora necessarie.
L’avvio della Fase 2 ha risolto soltanto parzialmente il problema, in quanto il 25% delle associazioni e società sportive non sono riuscite a riprendere l’attività normalmente: le limitazioni nell’uso degli spazi hanno penalizzato tante realtà e le modifiche strutturali necessarie per l’adeguamento alle norme di sicurezza e distanziamento richiedono progettazione e iter autorizzativi troppo lunghi e costosi.
Per questo ho rivolto un appello al governo, agli amministratori locali e al presidente di Sport e Salute, chiedendo loro di fare in modo che, con il coinvolgimento degli enti locali, le associazioni sportive dilettantistiche possano utilizzare gratuitamente le aree verdi e gli spazi all’aperto.
Una decisione da prendere in tempi rapidi in modo che le realtà sportive ne possano usufruire da subito e fino a settembre, trovando così un’opportunità per tornare a operare garantendo il benessere delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi, oltre che in importante supporto alle famiglie.
Sarebbe un segnale non solo per lo sport ma anche per le nostre città, con il loro straordinario patrimonio verde. Molti parchi pubblici sono già dotati di strutture dedicate allo sport e al tempo libero e tanti altri potrebbero essere attrezzati a questo scopo, incluse le aree protette.
Non a caso, il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha subito dato riscontro alla proposta offrendo la disponibilità dei parchi nazionali di competenza del suo dicastero, compatibilmente con la morfologia del territorio, mentre il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora e il presidente Sport e Salute, Vito Cozzoli, sono impegnati a recuperare fondi per fornire attrezzature sportive ai comuni e municipi che vorranno aderire al progetto. Tra questi ha già palesato il proprio interesse Roma Capitale e nello specifico i municipi IV, V e XIII stanno predisponendo la delibera necessaria a dare il via all’operazione “sport in natura” nei rispettivi territori.
Le amministrazioni locali, infatti, devono semplicemente approvare un atto che autorizzi le associazioni sportive a utilizzare le aree verdi di propria competenza. Le associazioni, che già fanno un lavoro importante per il suo impatto sociale, potrebbero magari “ricambiare” offrendo lezioni gratuite per gli anziani, per le persone con disabilità o per chi versa in condizioni economiche disagiate. Un’iniziativa che non ha costi ma che porterebbe vantaggi per tanti.
Non perdiamo l’occasione. Salviamo gli operatori del settore sportivo e il futuro dei nostri giovani.