Lo scontro Twitter-Trump continua ad alimentare il dibattito nel mondo digitale e non solo. Dopo l’intervento di Guido Scorza della settimana scorsa sulla rubrica “Educazione Digitale” del Blog delle Stelle, questa settimana pubblichiamo i pareri di un altro giurista: Innocenzo Genna, esperto di regolamentazione europea del digitale (Twitter: @InnoGenna – Blog: https://radiobruxelleslibera.com)
La polemica tra Trump e Twitter sulla legittimità del fact-checking sui tweet presidenziali ha il merito di aver fatto emergere presso il grande pubblico un tema, quello della responsabilità delle piattaforme online, che già era dibattuto, ma solo tra gli esperti del settore. In sostanza si tratta di valutare l’attuale adeguatezza della normativa Internet rispetto a quando fu concepita, negli anni 2000. In quell’epoca nessuno immaginava la nascita dei GAFA (l’acronimo per Google, Amazon, Facebook ed Apple) e neanche l’espansione che le piattaforme avrebbero avuto sull’economia e la vita della gente. Internet veniva vista come una immensa prateria dove c’era spazio per tutti e non ci si aspettava la costituzione di nuovi oligopoli. Pertanto, quando si trattò di regolare la responsabilità delle piattaforme, non si fece caso alle dimensioni dei soggetti coinvolti e, di conseguenza, non venne fissata alcuna distinzione tra l’ipotesi di un post inserito in una qualunque e sconosciuta chat, e l’ipotesi di un post caricato da un soggetto che, per effetto della piattaforma globale in cui si trova, è seguito da milioni di persone online. Venivano trattati allo stesso modo. Ma nel mondo off-line sarebbe invece stato come equiparare una chiacchiera da bar ad un messaggio papale in mondovisione. La lite tra Trump e Twitter nasce appunto da questa discrasia.
La lotta alla disinformazione online
Twitter ha sbagliato, ma forse non poteva evitarlo. Perché la piattaforma dell’Uccellino si è presa il rischio di applicare le funzioni di fact-checking all’uomo più potente del mondo, non era forse meglio far finta di niente, come da sempre suggerisce il sornione Zuckerberg, peraltro? Il fatto è che da alcuni anni, in particolare a seguito dello scandalo di Cambridge Analytica, delle elezioni di Trump e del referendum Brexit, la politica ha messo le piattaforme social sotto pressione. Ad esse si chiede di fare di più per contrastare il fenomeno della fake news, della disinformazione, delle interferenze straniere nelle campagne politiche social. A livello europeo si è inizialmente puntato sull’autoregolamentazione delle piattaforme, ma i risultati sono stati ritenuti insoddisfacenti. Così Bruxelles ora prepara una possibile regolamentazione delle piattaforme online dominanti nell’ambito del pacchetto legislativo denominato “Digital Service Act”. Niente di strano, quindi, che Twitter abbia provato ad anticipare una soluzione, pur rimanendo scottata con la Casa Bianca (mentre Bruxelles l’avrebbe trattata molto meglio).
Le pretese di Trump
Trump pensa che Twitter svolga una sorta di attività editoriale e per questo motivo non meriterebbe più l’immunità, prevista dalla legge americana (ed anche europea) per le piattaforme che ospitano (com’è normale per i social) contenuti e commenti degli utenti. Trump pensa che con l’attività di fact-checking Twitter abbia perso il ruolo di piattaforma neutrale ed influenzi ora la formazione delle opinioni e delle idee condivise dagli utenti, come una normale redazione giornalistica. Di conseguenza, Twitter e qualsiasi social che osino fare del fact-checking sugli utenti (in particolare su Trump), dovrebbero essere ritenuti responsabili per i relativi tweet/post, come i giornali per gli articoli da essi pubblicati. L’aspetto paradossale della vicenda sarebbe che Twitter diventerebbe responsabile anche degli spropositi twittati dello stesso Trump, di cui ha osato verificare la veridicità. Cornuti e mazziati, si direbbe da noi.
La responsabilità editoriale ed Internet
Trump sbaglia doppiamente perché: 1. Twitter non ha bloccato o censurato i suoi post, ha semplicemente operato un commento obiettivo sulla veridicità degli stessi; 2. Twitter non ha operato un controllo preventivo dei post di Trump, è intervenuta solo in un secondo momento.
In altre parole, la famosa responsabilità editoriale (di cui Trump parla, ma erroneamente) opera normalmente come controllo preventivo delle pubblicazioni, ed è indipendente dal medium scelto. Quando io pubblico un articolo per La Stampa devo preventivamente chiedere il permesso alla redazione del giornale, e loro decidono se pubblicare o meno; lo stesso accade quando chiedo di scrivere su un famoso blog online: in entrambi i casi la responsabilità editoriale è del medium. Ma se invece io caricassi un articolo su un social senza chiedere il permesso alla piattaforma, perché questa funziona così, quest’ultima non sarà responsabile per quello che io pubblico. Semmai, io ne sono responsabile (ed anche Trump, mi verrebbe da dire, per i suoi tweet). Si tratta di un principio fondamentale, senza il quale il settore Internet non sarebbe mai esistito, perché nessun operatore Internet avrebbe mai potuto accollarsi il rischio derivante dalle attività e dai commenti dei propri utenti. Per fare un esempio, immaginate se ANAS ed Autostrade avrebbero mai potuto assumersi il rischio per il comportamento degli automobilisti (incidenti, uso delle vetture per commettere crimini ecc): non esisterebbero le strade. Lo stesso vale per Internet.
Il problema da risolvere: le posizioni dominanti in Internet
La regolamentazione europea di Internet, sostanzialmente quella della direttiva 2000/31 dell’8 giugno 2000 (ha appena compiuto 20 anni!) che conferisce l’immunità alle piattaforme per il fatto degli utenti, ha funzionato bene, perché ha consentito l’emergere di Internet come lo conosciamo, cioè di uno spazio interattivo che cresce con il contributo degli utenti, non come uno schermo televisivo che sciorina palinsesti ad un pubblico passivo. Si è trattato di una normativa visionaria che è valida ancora oggi, perché ha predisposto dei meccanismi anche per i prevedibili sviluppi (ad esempio: il fact-checking, la moderazione degli utenti, la rimozione di contenuti illeciti) e che la Corte europea ha contribuito a sistematizzare, ad esempio ipotizzando regimi di responsabilità differenziate a seconda del business model delle piattaforme (ciò che i giuristi chiamano hosting passivo ed attivo).
Ma ciò che la normativa del 2000 non aveva previsto, è stato il formarsi di piattaforme globali, enormi ed economicamente potentissime, che ospitano al loro interno utenti ugualmente poderosi. Questa mancanza di previsione non è colpa della limitatezza del legislatore, il fatto è che nessuno poteva prevedere questo sviluppo di mercato. Non ci credete? Andate a controllare letteratura e filmografia di fantascienza e ve ne accorgerete. Troverete astronavi che piegano lo spazio-tempo, robot e computer intelligenti, video-comunicazioni efficientissime. Ma non vi è traccia delle grandi piattaforme online o di multinazionali che fatturino più di vari pianeti della galassia messi assieme (forse solo Dune, con la Gilda, ci è andato un po’ vicino). E quindi, non troverete mai la principessa Leila impegnata a scrutare il profilo Facebook di un ex-fidanzato, né Luke Skywalker cercare pezzi di ricambio su Amazon. Troverete invece Darth Wader armeggiare con la sua macchinosa Morte Nera, mentre invece avrebbe potuto annientare i Ribelli con una ben più efficace campagna presidenziale di disinformazione.
I prossimi passi: come rivedere le regole di Internet
Ecco, adesso sappiamo dove e perché la normativa europea di Internet deve essere adeguata, al di là delle schermaglie tra Twitter e Trump. A distanza di 20 anni, non sono cambiati i meccanismi di pubblicazione dei contenuti sulle piattaforme, e pertanto gli attuali regimi di responsabilità restano validi. Ma sono cambiate le dimensioni di alcuni player fondamentali, nonché la capacità di taluni utenti di manipolarli, con effetti deleteri per i processi democratici: può trattarsi di un politico, come di una rockstar, di uno sportivo, fino al profilo di un personaggio immaginario. Le regole dell’Internet devono prendere atto di questa nuova dimensione, dell’ampia recettività di determinate piattaforme, dell’immediatezza con cui viaggiano i messaggi, dei loro effetti dirompenti sulla società. Questi soggetti fuori del comune, siano essi piattaforme od utenti, devono ammettere di rivestire una particolare responsabilità (in inglese diremmo “accountability”) per la loro straordinaria capacità di influire sulla società, che lo facciano con una semplice decisione aziendale (la modifica dell’algoritmo, ad esempio) oppure con un singolo post o tweet. Per loro, le regole dell’Internet del 2000 non bastano più. Questo è il tema che terrà banco a Bruxelles per almeno i prossimi 2 anni.
Leggi i precedenti articoli della rubrica “Educazione Digitale”
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