Ci son diversi modi di far memoria.
Uno dei più diffusi certamente è quello di subirla, la memoria, in quanto convenzione, uso collettivo cui sottrarsi è difficile, perché richiederebbe un motivo, una ragione, insomma un perché, e dunque si ricorda meccanicamente, passivamente, senza trasporto, senza adesione, ma sol perché “così fanno tutti”. È inutile dire che è il modo peggiore di ricordare.
Poi c’è la memoria che ti accompagna in tutti i momenti del tuo vivere, divenendo quasi oppressiva perché totalizzante, avendo l’effetto di irrigidirti, di cristallizzarti nel ricordo, impedendoti di riconoscere ed accettare il fluire della vita, il trattenersi della memoria senza bloccare il divenire delle emozioni, dei sentimenti, delle esperienze.
Infine c’è la memoria non ostentata, interiore, silente. È quella che rende presente, in altro modo, ciò che fisicamente è distante.
Per me questa è la memoria che fa vivere e vivere avendo coscienza dei propri doveri, ma anche della propria ed altrui gioia. Perché il senso dell’impegno che profondiamo nel nostro vivere ed agire è quello di lasciare traccia nel tempo in virtù di valori e convinzioni, di doveri ed ideali. E quando ci riusciamo la memoria ci fa sentire con noi tutti quelli che hanno condiviso quei valori e quelle idee, quel senso del dovere che ci permette di attraversare il tempo senza essere schiacciati dal dolore.