Di seguito il discorso pronunciato a Bologna dal vice ministro dell’Interno Vito Crimi durante l’incontro con l’Associazione familiari vittime della strage alla stazione di Bologna.
Buongiorno a tutti. Saluto i familiari delle vittime della strage e tutte le autorità civili e militari presenti.
Non vi nascondo l’afflizione che mi coglie in questo momento, dovendo intervenire in un giorno tanto importante per il Paese, così pregno di significato, dolore ed emozione, che giunge in un contesto reso ancor più difficile dalla sofferenza quotidiana causata dalle conseguenze della pandemia da Coronavirus, che ci vedrà impegnati ancora per un periodo che ci auguriamo sia il più breve possibile.
Innanzitutto permettetemi di esprimere la mia più sincera gratitudine e sentimenti di ammirazione all’opera di condivisione e di ricerca svolta dall’Associazione vittime della strage e dai comitati. Un’attività encomiabile che conosco bene, poiché provengo da una città, Brescia, che con Bologna condivide il dolore e lo strazio di un attentato terroristico, quello avvenuto in Piazza della Loggia il 28 maggio 1974.
Sono trascorsi 40 anni da quel 2 agosto 1980 che ha visto la città di Bologna preda di una violenza disumana, perpetrata per mezzo del più vile e grave attentato terroristico mai verificatosi nel dopoguerra.
Ma al dolore per le vittime, per i loro familiari e per quanti quel giorno persero un proprio caro, si aggiunge un altro dolore, quello per una verità negata per quasi mezzo secolo. Perché ancora oggi, dopo quarant’anni, la strage della stazione di Bologna è una strage rimasta senza verità, senza la verità di quel sottile filo che la collega a tanti altri eventi tragici di questo Paese.
Conosciamo i nomi e i volti di chi non c’è più, dei loro cari e dei loro familiari, e di quanti fin dal primo istante accorsero con coraggio e generosità per prestare aiuto.
Ma ancora non conosciamo quelli di coloro che hanno contribuito a scrivere una delle pagine più dolorose della storia del nostro Paese.
E questo è un dolore che con il tempo non può diminuire, anzi. Ogni giorno che trascorre senza poter sapere, senza poter conoscere quei nomi, senza individuare i responsabili che sono arrivati perfino a piegare le istituzioni pur di nascondere la verità, è un giorno che accresce la nostra sofferenza.
Quarant’anni senza una verità sono un’offesa alla memoria dei morti e dei loro familiari. Così come per Ustica, per le bombe del ’92 e del ’93, e per molti altri eventi sanguinosi che hanno ferito la nostra democrazia, che ha vacillato, ma ha retto l’urto di mani colpevoli e insanguinate.
La verità può rimanere chiusa in armadi, nella memoria di qualcuno, in carte bloccate da cavilli e inerzie. Il nostro imperativo, oggi, è fare presto. Fare presto affinché quella verità emerga finalmente in superficie. Fare presto, perché non possiamo tollerare che chi ha già sofferto la perdita di un proprio caro debba subire 40 anni di silenzi, omertà, depistaggi.
Possiamo raccontare di quanto sia complesso il meccanismo burocratico, della declassifica e del versamento agli archivi di oltre un milione di atti, degli sforzi per semplificare. È di qualche giorno fa la nota del Presidente del Consiglio ai Presidenti delle Camere che autorizza il rilascio degli atti in possesso delle commissioni stragi. Possiamo raccontare i processi e le sentenze, ma quarant’anni pesano come un macigno e in questo lasso enorme di tempo l’unica vera celebrazione possibile da parte di qualsiasi Governo sarebbe stata poter dire: ecco queste sono tutte le carte che abbiamo e sono a disposizione di chi ha subìto un dolore, una perdita che sarà tale per sempre ma almeno avrà una benché minima consolazione con la verità.
Non è questo il giorno. E la serietà impone che di fronte ai familiari, di fronte a questa città, si ponga da oggi un punto fermo ai discorsi che sanno di mera retorica. Dopo quarant’anni si può solo chiedere scusa. Non è accettabile, non è ammissibile.
Stiamo lavorando per la verità, lo posso affermare con convinzione, perché è l’intendimento di questo Governo, come lo è stato dei precedenti e lo sarà ancora di quelli futuri. Ma è stato già detto e potremo dirlo anche l’anno prossimo.
Ciò non fermerà il trascorrere del tempo, inesorabile, che ancora non porta chiare e definitive risposte.
Scuse, le scuse sono le uniche parole che oggi hanno parvenza di decenza, perché dinnanzi al dolore, immutabile, che per davvero non conosce l’oblio del tempo, si può chiedere solo scusa per non aver ancora portato qui le necessarie e dovute risposte.