Ridurre il numero dei parlamentari significa soprattutto dare maggiore potere ai cittadini e aumentare l’autorevolezza della Camere.
Meno rappresentati eletti corrispondono a un numero minore di candidati e quindi a una migliore selezione di base. Inoltre, ed è qui che entra in gioco uno degli effetti più importanti della riforma, i parlamentari – scelti dai cittadini in una rosa più ristretta e più virtuosa – avranno più peso, saranno più identificabili e quindi sarà più facile seguirne l’operato.
Innescato questo meccanismo, gli effetti non tarderanno ad arrivare e il rapporto tra gli elettori e i loro rappresentati non potrà che riequilibrarsi. Un deputato o un senatore più riconoscibile può essere seguito con facilità dai suoi elettori – e dai cittadini in generale – potendo così dimostrare maggiore attenzione alle loro esigenze che non a quelle del partito. Inutile sottolineare l’impatto positivo che un simile approccio può avere sulla nostra democrazia.
Come ha recentemente affermato il costituzionalista Roberto Zaccaria, l’autorevolezza del Parlamento non dipende direttamente dal numero ma dalla qualità dei suoi rappresentanti, e con la riforma costituzionale che ci accingiamo a votare il 21 e il 22 settembre possiamo finalmente dire Sì a un sistema improntato all’efficienza e alla qualità, in cui i cittadini – tutti, al di là, del sentimento politico – siano meglio rappresentati.