In questi giorni, tra le tante parole a vuoto pronunciate dal centrodestra, sentiamo spesso muovere al governo l’accusa di “confusione” nella gestione dell’emergenza. Proviamo allora a mettere un attimo in fila le loro più celebri sparate durante questo periodo di emergenza epidemiologica.
Gli inizi della pandemia
Il 20 febbraio è il giorno del cosiddetto “paziente 1” di Codogno, il primo cittadino italiano trovato positivo al Coronavirus. Da lì si inizia a riflettere e ad agire per le varie restrizioni da mettere in campo, che naturalmente comportano anche penalizzazioni economiche da compensare. E subito Salvini, il 27 febbraio, pensa bene di accarezzare il comprensibile desiderio di libertà che serpeggia fra diverse persone facendo un video, divenuto tristemente noto, in cui reclama testualmente: “riaprire, rilanciare…aprire, aprire aprire. Tornare a correre, tornare a lavorare”. Il 10 marzo, meno di due settimane più tardi, subito dopo il lockdown nazionale deciso dal governo, ecco la prima capriola politica e verbale: “Mi sembra che qualcuno non abbia chiaro che cosa sta succedendo nella metà degli ospedali italiani…Bisogna chiudere tutto. Fermiamo tutto per i giorni necessari”. E Giorgia Meloni aggiunge: “Riteniamo che sarebbe più utile chiudere tutto per 15 giorni”.
La primavera delle accuse scriteriate e l’estate all’insegna del “liberi tutti”
Da lì parte una lunga e difficile primavera per l’Italia nella quale il centrodestra continua a seguire la sua linea sfascista e del ‘tanto peggio tanto meglio’. Poi arriva l’estate, i sacrifici fatti dagli italiani danno i loro frutti, la curva del contagio è sotto controllo e subito la premiata ditta Salvini&Meloni si avventa sul mercato del “liberi tutti”, ancora una volta accarezzando il legittimo e comprensibile desiderio di tanti cittadini di tornare alla vita di prima, cosa che purtroppo non è compatibile con una pandemia. Ricordiamo, uno fra tutti, il triste episodio del convegno “negazionista” organizzato al Senato il 27 luglio, in cui il senatore Salvini, dentro Palazzo Madama, rifiuta ostentatamente di indossare la mascherina, nonostante la richiesta pressante di un assistente parlamentare e anche l’aiuto di un collaboratore che gliene porge una.
Quelli estivi erano anche i mesi in cui il centrodestra gridava contro il presunto attacco alla democrazia per via della proroga dello stato di emergenza nazionale. Ecco cosa dice Giorgia Meloni il 16 luglio 2020: “Il Governo vuole prorogare lo stato di emergenza per mantenere libertà d’azione e per fare cose che non c’entrano con il Covid”. In realtà sappiamo bene che lo stato di emergenza consente, ad esempio, al commissario straordinario Domenico Arcuri di acquistare, con procedure più snelle, i tamponi, le mascherine e i respiratori per le terapie intensive. Proprio quei macchinari che sono stati inviati alle Regioni per tempo, sfruttando i mesi estivi, e che in diversi casi purtroppo giacciono ancora nei magazzini.
Le Regioni e le loro responsabilità
Proprio le Regioni a guida Lega, a partire dalla Lombardia, hanno mostrato tutti i limiti della riforma del Titolo V con una gestione disomogenea e a volte disastrosa dell’emergenza Covid-19. In molte questa estate non hanno adeguato il numero dei posti letto in terapia intensiva e anche delle Unità Speciali di Continuità Assistenziale non c’è traccia. In Lombardia la situazione sta precipitando dopo le scelte scellerate fatte durante la prima ondata: l’ordinanza che fece entrare i malati Covid-19 nelle Rsa, la vicenda dei camici con la commessa per la fornitura prima assegnata senza gara pubblica alla società del cognato e della moglie di Fontana e poi fatta passare per donazione. Poi il caos dei vaccini antinfluenzali cinesi, le consulenze della figlia, Maria Cristina Fontana, per l’Asst Nord Milano.
In Umbria, la giunta guidata da Donatella Tesei avrebbe dovuto aumentare di 57 unità i posti in terapia intensiva, prima dell’emergenza ce n’erano 70 ma invece ne ha aggiunti solo 28. Il piano di riorganizzazione presentato al governo peraltro si sarebbe concluso a luglio del 2023, un po’ tardino per far fronte all’emergenza Covid-19. E sono solo due esempi, perché purtroppo in Veneto abbiamo assistito al boicottaggio di Zaia della App Immuni: volevano farne una dedicata al Veneto che non è mai partita.
E vogliamo parlare del federalismo delle convenienze declinato dalle Regioni? E’ singolare come proprio loro che dall’inizio della pandemia sottolineano ogni volta che è possibile l’importanza dell’autonomia e delle competenze loro assegnate dalla Costituzione, adesso invochino il lockdown nazionali ad opera del governo centrale. In particolare le regioni leghiste, eredi del celebre federalismo invocato da Umberto Bossi e ancora oggi sostenitrici del riconoscimento di maggiori forme di autonomia, sono diventate all’improvviso centraliste? O forse nel momento in cui bisogna assumere decisioni difficili si sottraggono alla responsabilità.
“Si discuta in Parlamento”
C’è poi un altro canovaccio seguito dal centrodestra in modo ossessivo: il governo ci coinvolga e si discuta in Parlamento delle azioni da decidere insieme. Bene. Ancora poche ore fa il presidente Conte ha invitato le opposizioni a tenere un “tavolo di confronto permanente”, ma i leader del centrodestra ancora una volta dicono no. Secondo loro ormai sarebbe tardi e l’unico posto in cui discutere è, appunto, il Parlamento. Alla Camera e al Senato si dibatte dell’emergenza epidemiologica già dallo scorso marzo. Abbiamo perso il conto delle volte in cui Conte giustamente è andato a riferire sull’operato del governo e ad ascoltare le nostre idee. Forse Meloni e Salvini potevano andare a lavorare di più in Parlamento anziché mettere insieme, rispettivamente, appena il 34,07% e 12,80% di presenze?
E ricordiamo altre due occasioni in cui il governo aveva invitato le opposizioni a decidere insieme delle sorti del nostro Paese. A giugno, durante gli Stati Generali con cui abbiamo programmato il rilancio economico e sociale anche grazie ai miliardi del Recovery Fund, il presidente Conte invita il centrodestra al confronto di merito e la risposta è No, ovviamente. Ancora, a luglio in una lettera inviata ai leader del centrodestra il presidente Conte scrive: “Desidero rinnovare l’invito a partecipare a un tavolo di confronto sui progetti che sono stati condivisi tra i ministri e che sono stati presentati alle parti sociali. In un momento così decisivo per il futuro del Paese ritengo che l’interlocuzione tra il governo e le forze di opposizione, pur nel rispetto della differenza dei ruoli e delle posizioni, sia doverosa e necessaria”. Anche in quel caso, manco a dirlo, arriva un rifiuto netto.
Troppo comodo agire così, in tempi normali parleremmo di opposizione inconsistente e priva di contenuti, nel corso di una emergenza epidemiologica ed economica questa si chiama irresponsabilità.
Noi siamo il MoVimento 5 Stelle, una forza politica di persone serie che mettono il cuore e la mente al servizio della causa comune, al governo e in Parlamento. Come ha detto il presidente Conte non pretendiamo di dire che non sono stati commessi degli errori in questi mesi, siamo di fronte ad un’emergenza sanitaria, economica e sociale da far tremare i polsi ai migliori statisti della storia e certamente chi sta lavorando notte e giorno per gestirla non è infallibile. Ma quel che di certo non manca sono l’impegno, la serietà e l’onestà di valorizzare le migliori conoscenze disponibili nel Paese. Quel che l’Italia non merita è avere un’opposizione che pensa solo a fomentare la rabbia e speculare per raccogliere brandelli di consenso. Ma confidiamo ancora nella possibilità di costruire una vera unità nazionale contro un nemico subdolo e spietato come la pandemia da Covid-19.