a cura del Team del Futuro Ambiente ed Energia
Il nostro Paese si appresta a mettere in campo una importante strategia sulla gestione dei rifiuti che ci proietterà, da qui ai prossimi anni, verso l’obiettivo dell’economia circolare, mettendo definitivamente alla porta non solo gli inceneritori, ma qualsiasi altro sistema che non preveda il recupero della materia.
Ma facciamo un passo indietro.
Nella memoria di ogni ambientalista non verrà mai cancellato il giorno in cui fu pubblicato il famigerato art. 35 del D.Lgs. 133 del 2014, meglio noto come “Sblocca Italia”, che in barba ad oltre quarant’anni di lotta ambientale suggellata da trattati e direttive e senza alcuna interlocuzione con le Regioni, calava dall’alto la necessità di dotare la Penisola di una rete di inceneritori per i rifiuti che arrivavano addirittura a essere definiti “infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale”.
Ma non finisce qui, perché l’atto, attraverso il quale si è provveduto alla pianificazione, mediante la previsione di quegli inceneritori (il DPCM del 10 agosto 2016), neppure fu sottoposto alla valutazione ambientale strategica (VAS), strumento obbligatorio e fondamentale per verificare l’impatto che un piano o un programma ha sul territorio. In poche parole, senza curarsi degli effetti ambientali e senza ascoltare le Regioni, lo Stato decise che nella nostra penisola si sarebbe dovuta mettere in piedi una batteria di inceneritori per bruciare rifiuti, anziché recuperarli.
Quattro anni di accese battaglie giudiziarie portate avanti da comitati ed associazioni hanno visto finalmente cancellare questa norma e, grazie alla recente sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio, ripristinare il principio assoluto secondo il quale un piano, che abbia una qualsiasi incidenza sul territorio, non può produrre effetti se prima non se ne valuti la compatibilità ambientale.
Archiviata questa storia, oggi l’Italia riparte con il recepimento delle direttive sull’Economia circolare ed in particolare con una norma, recentemente introdotta all’art. 198 bis del Codice dell’ambiente che stabilisce per il nostro Paese la redazione di un “Programma nazionale per la gestione dei rifiuti”.
Sia chiaro, non è un atto specificatamente richiesto dall’Unione europea, ciononostante il Legislatore nazionale ha voluto prevederlo al fine di mettere in campo una strategia che punti alle azioni virtuose della riduzione, del riciclo, del recupero e dello smaltimento della sola parte residuale non altrimenti utilizzabile in altri processi.
Saranno le singole Regioni, sulla base delle informazioni fornite al Ministero dell’ambiente sui flussi dei rifiuti prodotti e sul fabbisogno impiantistico, a contribuire alla determinazione della struttura del Programma nazionale. Non ci sarà dunque, come accadeva con lo Sblocca Italia, un documento calato dall’alto, ma un piano che viene redatto sulla base delle effettive necessità delle Regioni. Non più un approccio bastato sulle capacità e sulle tipologie degli impianti, ma una visione strategica che farà da cornice alle Regioni, al fine di raggiungere percentuali di recupero sempre maggiori e ridurre ai minimi termini il rifiuto residuo non altrimenti reimpiegato. Insomma, l’obiettivo è assolutamente lungimirante ed è una risposta netta a coloro che fino ad oggi hanno invocato l’utilizzo dei termovalorizzatori per la frazione residuale.
Il Programma nazionale di gestione dei rifiuti, frutto del recepimento delle direttive sulla Economia circolare e figlia della sentenza del TAR che chiarisce una volta e per tutte che la valutazione ambientale strategica costituisce presupposto ineluttabile, rappresenta la pietra tombale degli inceneritori in Italia. D’altronde dal punto di vista economico è chiaro anche agli stessi imprenditori che, con le percentuali obbligatorie minime di raccolta differenziata e terminata ormai l’era degli incentivi, l’investimento per un inceneritore è talmente elevato che i costi di ammortamento non si recupererebbero nemmeno in cento anni.
Ma anche leggendo i dati sulla capacità residua degli inceneritori esistenti, appare chiaro che questa tecnologia volge al tramonto, e non soltanto in Italia. In particolare analizzando i flussi in entrata degli inceneritori presenti sul nostro territorio (39 per i rifiuti solidi urbani, 38 per i rifiuti speciali e la restante parte impiegata in processi industriali di co-incenerimento nell’ambito di attività produttive) si evince che nel 2018 questi avevano una capacità residua di trattamento pari a 2,3 milioni di tonnellate. Capacità che però non verrà più richiesta in termini di smaltimento, in virtù della sostanziale diminuzione della produzione complessiva di rifiuti cui andremo incontro in futuro.
Secondo una ricerca di Confindustria, infatti, il 2020 registrerà una diminuzione di ben 4 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti di cui almeno un quarto sarebbero finiti negli inceneritori. In definitiva la strada che si vuole intraprendere con il “Programma nazionale per la gestione dei rifiuti” è, come già detto, quella virtuosa della Economia circolare, nella quale le azioni di prevenzione alla produzione di rifiuti e al recupero, garantiscono una accelerazione alla dismissione non solo degli inceneritori, ma anche delle discariche.
Già oggi sappiamo che è possibile prevenire la produzione dei rifiuti attraverso una politica industriale di ecodesign attraverso la quale un prodotto acquista una vita decisamente più lunga. Sappiamo, ad esempio, che spingere le piattaforme per il recupero dell’umido aiuta a ridurre la massa dei rifiuti del 40%. Sappiamo, ancora, che la raccolta “porta a porta”, se fatta bene, se accompagnata da una campagna di informazione seria, riduce il rifiuto urbano residuo del 10%. Sappiamo che, grazie ai decreti ministeriali sull’End of waste si aiuta il riciclo dei prodotti assorbenti, sottraendoli alle discariche. Parliamo di una quantità che supera il milione di tonnellate! Anche i temibili rifiuti sanitari a rischio infettivo possono essere assimilati ai rifiuti urbani dopo la sterilizzazione presso le strutture sanitarie grazie agli emendamenti sottoscritti dal MoVimento 5 Stelle al Decreto “Liquidità e semplificazione”. Si può eseguire il recupero chimico ed enzimatico di fosforo e altre sostanze preziose dai fanghi di depurazione.
Insomma, la strada è tracciata. Basta solo seguirla!