I contagi da Covid-19 sono tornati a salire, solo ieri sono aumentati di 30.550 casi. In Italia al momento ci sono 443.235 persone positive: 22.116 ricoverate, 2.292 in terapia intensiva. Numeri purtroppo rilevanti che sono aumentati in modo importante nelle ultime settimane.
Perché siamo dovuti intervenire con chiusure mirate a diversi livelli? Perché a un aumento così consistente di casi corrispondono dei rischi: le Asl non riescono ad assistere adeguatamente le persone che si ammalano, il tracciamento dei contatti diventa difficile, gli ospedali vanno sotto pressione, le terapie intensive aumentano mettendo a rischio il sistema. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il resto delle malattie purtroppo non sono andate in vacanze e la nostra sanità deve poter garantire ai cittadini anche l’ordinario.
Cosa ha fatto il governo? Sono stati fissati dei criteri di monitoraggio e in base a quelli il ministero della Salute emanerà delle ordinanze che stabiliranno la situazione delle regioni.
L’ordinanza firmata ieri divide l’Italia in tre zone. Della zona gialla fanno parte Toscana, Lazio, Liguria, Campania, Sardegna, Abruzzo, Molise, Marche, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Basilicata, Veneto, Trentino-Alto Adige e Umbria. Della zona arancione: Puglia e Sicilia. Della zona rossa: Lombardia, Piemonte, Calabria e Valle D’Aosta.
Laddove nella zona rossa ci sono le restrizioni maggiori.
Ma quali sono i criteri che portano a queste scelte?
Il monitoraggio viene fatto dai tecnici seguendo 21 indicatori suddivisi in tre aree:
– indicatori di processo sulla capacità di monitoraggio.
– indicatori di processo sulla capacità di accertamento diagnostico, indagine e gestione dei contatti.
-indicatori di risultato relativi a stabilità di trasmissione e alla tenuta dei servizi sanitari.
Ed eccoli di seguito.
Indicatori di processo sulla capacità di monitoraggio:
1. Numero di casi sintomatici;
2. Numero di casi ricoverati;
3. Numero di casi in terapia intensiva;
4. Numero di casi in isolamento domiciliare;
5. Numero di checklist somministrate settimanalmente a strutture residenziali sociosanitarie;
6. Numero di strutture residenziali sociosanitarie rispondenti alla checklist settimanalmente con almeno una criticità riscontrata;
Indicatori di processo sulla capacità di accertamento diagnostico, indagine e di gestione dei contatti:
7. Percentuale di tamponi positivi;
8. Tempo tra data inizio sintomi e data diagnosi;
9. Tempo tra data inizio sintomi e data di isolamento;
10. Numero, tipologia di figure professionali e tempo/persona dedicate al contact tracing;
11. Numero, tipologia di figure professionali e tempo/persona dedicate al prelievo e al monitoraggio di contatti stretti e delle persone in isolamento;
12. Numero di casi confermati di infezione nella regione per cui sia stata effettuata una regolare indagine epidemiologica con ricerca dei contatti stretti/totale di nuovi casi di infezione confermati;
Indicatori di risultato relativi a stabilità di trasmissione e alla tenuta dei servizi sanitari:
13. Numero di casi riportati alla Protezione civile negli ultimi 14 giorni;
14. Rt;
15. Numero di casi riportati alla sorveglianza sentinella Covid-Net per settimana;
16. Numero di casi per data diagnosi e per data inizio sintomi riportati alla sorveglianza integrata Covid-19 per giorno;
17. Numero di focolai di trasmissione;
18. Numero di nuovi casi di infezione confermata, non associati a catene di trasmissioni note;
19. Numero di accessi al pronto soccorso con sintomi riconducibili al Covid;
20. Tasso di occupazione dei posti letto totali di terapia intensiva per pazienti Covid;
21. Tasso di occupazione dei posti letto totali di Area Medica per pazienti Covid.
Tutti questi indicatori, insieme, permettono di avere una panoramica tecnica su quanto sta avvenendo nel nostro Paese.
Sono dati oggettivi, non sono scelte arbitrarie prese per simpatia o antipatia. Sono parametri che servono a tutelare la salute dei cittadini.
E sono contenuti in un decreto ministeriale di fine aprile scorso: sei mesi fa. Un decreto di cui i governatori regionali sono perfettamente a conoscenza. Perché sono le Regioni stesse a comunicare i dati al governo centrale. Gli stessi governatori che non si sono voluti assumere responsabilità e ora si lamentano delle chiusure.
La domanda nasce spontanea: non conoscono la Regione che amministrano?
Anziché attaccare il governo pensassero a cosa hanno fatto, spieghino ai cittadini come mai le loro Regioni sono in zona rossa. Spieghino come mai non hanno organizzato il sistema sanitario regionale e il trasporto pubblico locale.
Prima di attaccare il governo – che sta prendendo decisioni di responsabilità al loro posto – pensino a ciò che non hanno fatto nonostante avessero i fondi.
Questo governo prende decisioni sulla base di dati empirici e scientifici e le Regioni che finiscono nella zona rossa sono territori che hanno bisogno di stringere le maglie per un periodo per calmierare la situazione, non territori che vengono puniti.
Allora poniamo noi qualche domanda.
I governatori che si lamentano non sanno cosa avviene nel loro territorio? Dovrebbero saperlo.
Non conoscono la situazione dei loro ospedali? Dovrebbero conoscerla.
Non hanno polso della situazione dei loro trasporti locali? Dovrebbero averlo.
Non sono in grado di capire i rischi che stanno correndo i cittadini che governano? Dovrebbero esserlo.
L’Italia andrà più veloce nella lotta al Covid-19 se ognuno adotterà la marcia migliore in base alla propria situazione. E non è possibile che chi si ritrova a dover accelerare non sappia nemmeno il perché.