Non essere d’accordo con qualcuno è il miglior punto di partenza per non essere d’accordo sulla sua censura. Ieri si è verificato un fatto emblematico: la piattaforma social media più partecipata negli Stati Uniti ha censurato preventivamente il Presidente degli Stati Uniti per le prossime due settimane in attesa dell’insediamento del nuovo Presidente.
Le ragioni possono anche essere comprese dopo l’assalto al Parlamento statunitense durante la conferma del nuovo Presidente incaricato, scaturito proprio a seguito di un invito da Presidente uscente a protestare davanti alle porte di Capitol Hill.
Ma a far riflettere dovrebbe essere il fatto che oggi esistono tutele democratiche affinché tutti possano parlare e dire anche cose non ritenute corrette da alcuni, o anche da molti. La libertà di parola è anche la libertà di dire ciò che non si vuole sentire, anche se dovesse configurarsi un reato di opinione. Salvo poi essere sanzionato se viene commesso.
Negare la possibilità ad una persona di poter parlare è prerogativa del potere democratico costituito.
Fino ad oggi Facebook, come molti altri social network, si é qualificata come piattaforma software indipendente, ma oggi forse dovrebbero qualificarsi come società editoriale prendendosi quindi la responsabilità di tutto quello che viene reso pubblico e specificando in ogni occasione perché un post è tollerato e un altro no. Se Putin o Xi Jinping dovessero fare dichiarazioni contro gli interessi statunitensi o quelli del social media, sarà Zuckerberg a decidere se è il caso di censurarli?
Si può non essere d’accordo con qualcuno e persino temerne le opinioni. Tuttavia la censura porta con sé conseguenze se erogata al di fuori del contesto democratico, in particolar modo se legata a milioni di persone che legittimamente scelgono di seguire una persona, soprattutto e ancora di più se fatta su uno strumento diventato centrale per il confronto delle idee.
1- La prima conseguenza è che i social network diventeranno di parte e le persone inizieranno a utilizzare i social network che meglio rappresentano le loro opinioni. E come sempre questa polarizzazione a priori non faciliterà il confronto sulle idee, ma cristallizzerà ancora di più qualunque tifoseria politica. Non è un caso il successo del nuovo social media Parler all’interno del quale stanno convogliando gli statunitensi esclusi dal dibattito su Twitter e Facebook e in generale milioni di sostenitori di Trump. Un social media divide.
2- Questa divisione rischia di diventare anche una divisione tra Stati. Cosa sarebbe successo se a censurare un presidente statunitense fosse stato TikTok, il social media cinese? I meccanismi di censura sono già in piedi, ma applicati solo a contesti politici domestici cinesi. Il problema in realtà è che già oggi Facebook e Twitter applicano censure politiche in altri Paesi fuori dagli Stati Uniti, creando non solo un cortocircuito tra politica e aziende private, ma anche diplomatico. Come è successo dopo le proteste di Hong Kong dove Twitter ha identificato e sospeso 200 mila account cinesi e YouTube sospeso oltre 200 account accusati di propaganda contro l’autonomia di Hong Kong. Il fenomeno è comunque globale e continuo se si pensa che Facebook chiude dai 3 ai 5 miliardi di account. Probabilmente in gran parte è giusto che vengano chiusi, ma se anche un solo account fosse stato chiuso senza motivazioni valide gli si sarà tolta la possibilità di parola su Facebook o su Twitter da parte di un’azienda.
Twitter ha censurato anche tweet di capi di Stato come quello di Bolsonaro quando scelse di affrontare il Coronavirus con l’immunità di gregge e non con il lockdown descrivendone a suo avviso l’inutilità, ma non ha riservato lo stesso trattamento al premier inglese quando aveva le stesse posizioni.
3- Le commissioni di garanzia terze istituite dagli stessi social media, ad esempio l’Oversight Board di Facebook, finiscono per essere solo specchietti per le allodole se a decidere e a dichiarare la censura è il proprietario del social media di turno, come in questo caso Zuckerberg, poi rettificato dopo poche ore da una comunicazione aziendale che ridimensionava a 24h il blocco dell’account.
Senza contare che la censura preventiva sembra più simile a dinamiche di giustizia preventiva in stile Minority Report che non all’applicazione di regole certe e uguali per tutti.
In realtà il problema della falsa informazione non è ancora stato risolto neanche nei media tradizionali. Se penso a quale sia stata la più grande fake news degli ultimi trent’anni penso alle armi di distruzione di massa possedute da Saddam Hussein, una notizia falsa che ha avuto un impatto devastante anche dal punto di vista delle conseguenze che ha determinato e che è stata proposta e rilanciata dai media tradizionali.
In questi giorni c’è molto dibattito sul Bitcoin che sta acquisendo valore in seguito alla svalutazione generale delle valute di Stato. La realtà è che la tecnologia blockchain, sulla quale si basano i Bitcoin, sta portando alla creazione di nuove realtà auto-organizzate e distribuite dove non esiste un controllo centrale e all’interno della quali le persone possono agire all’interno di regole stabilite all’inizio e soprattutto verificabili da tutti. La verificabilità delle decisioni e la distribuzione delle decisioni si sta ponendo come modello contrapposto a quello centralizzato basato su scelte arbitrarie non condivise. Forse a breve nascerà anche un social media basato su questi principi che potrebbe risolvere l’eterno dilemma tra verità e libertà di parola.