Gianroberto Casaleggio: il mercato dei tulipani

Internet è una rivoluzione. Non un semplice prodotto che può aiutarci a vivere meglio la vita di sempre o a lavorare meglio nello stile di sempre. No. Internet deve, necessariamente, portare ad una vera e propria trasformazione radicale delle aziende, dei prodotti, delle relazioni umane e aziendali… Altrimenti il suo senso ne risulterà travisato e inespresso.

È questa, come scrive Renato Mannheimer nella prefazione di “Il web è morto, viva il web” (Pro Sources, 2001), l’idea forte che ispirava Gianroberto Casaleggio, che nel libro propone spunti di riflessione, lancia provocazioni forti, a volte moniti. Come a dire: attenti! Perché nella rivoluzione bisogna inserirsi con anticipo e con una presa di coscienza forte. Il cambiamento deve essere affrontato per tempo e nella convinzione che a cambiare non sarà solo la superficie, ma la sostanza delle cose.

Proprio per questo vogliamo regalarvi alcuni stralci di “Il web è morto, viva il web”. E per ricordare parte di quel pensiero, di quelle idee che lo hanno portato a fondare il MoVimento 5 Stelle e il suo cuore pulsante: il Progetto Rousseau.


Nell’Olanda del 1600 vi erano grandi capitali in cerca di investimenti. La liquidità circolava in tutte le classi sociali, dai nobili agli artigiani, che trovarono nei tulipani un mercato in cui investire…

Il tulipano, di origine turca e il cui nome deriva dalla parola turbante, è stato introdotto in Olanda nel 1554 da Carolus Clusius, direttore del Giardino Reale di Vienna, e riscosse sin dall’inizio un grande successo. Un solo tulipano poteva valere più di 2000 dollari, un cavallo ed un carro. Oggi una manciata di bulbi vale 1 o 2 dollari.

In Olanda si verificò una vera e propria tulip-mania, le persone vendevano le loro attività e le loro proprietà pe acquistare dei bulbi di tulipano con la speranza di arricchirsi facilmente.

Il governo olandese cercò di porre delle restrizioni al mercato dei tulipani, arrivando a metterlo fuorilegge. Ma senza esiti.

L’economia fece quello che la politica non era riuscita a fare, come spesso avviene. Dopo un picco nel 1636, il prezzo dei tulipani crollò improvvisamente nell’aprile del 1637. Fallimenti e suicidi non si contarono e molte famiglie prima benestanti furono ridotte a vivere di carità.

Alcuni elementi presenti in questo episodio storico sono del tutto attuali come: la liquidità in cerca di investimenti, il desiderio di moltiplicare il proprio guadagno in un tempo breve e un mercato nato quasi dal nulla: le dotcom.

Le dotcom si sono moltiplicate sulla Rete partendo da idee di nuovo business e da finanziatori spesso occasionali. Le dotcom hanno un unico reale obiettivo: fare soldi in un tempo brevissimo. Ma se è normale che un’azienda si ponga come obiettivo il profitto, lo è molto meno che voglia realizzarlo quasi istantaneamente.

Per costruire una società ci vogliono dai 5 ai 10 anni, sorto necessari relazioni, strutture, persone, brand, organizzazione e un impegno costante a creare valore. Come è possibile che una società entri in borsa a meno di un anno dalla sua nascita? La risposta è che nelle intenzioni di chi ha creato la società, il valore risiedeva nelle azioni e non nella società stessa.

Ma le tulip-companies fanno comunque sognare gli investitori occasionali. La vendita e l’acquisto delle dotcom si sono trasformati sulla Rete in un cyber casinò in cui società senza fondamentali e senza storia vengono comprate a prezzi insensati da investitori senza esperienza.

Il trading on line è diventato il primo grande gioco della Rete e si è arrivati a valutare le società in base ai debiti contratti e non al valore economico prodotto.

Dopo il crollo primaverile del Nasdaq ho chiesto al chairman di un’importante società americana di It dove sarebbero confluiti gli investimenti sottratti al Nasdaq. Mi ha risposto che i soldi in realtà non ci sono e che non c’erano neppure prima. Le persone chiedono spesso negli USA denaro in prestito alle banche per comprare azioni, garantendo il prestito con le azioni stesse. Se il mercato crolla, le banche chiedono a chi ha contratto il prestito di restituirlo.

Consideriamo alcuni dati: negli USA un terzo delle società Internet entrate in borsa nel 1 997 perdeva soldi e dopo 2 anni, nel 1 999, la situazione è ulteriormente peggiorata. Un altro dato per riflettere: dal 1980 ad oggi il 5% delle società di It quotate ha prodotto ben 1’86% del valore generato. Delle altre, nella maggior parte, si è persa ogni traccia.

La New Economy non può nascere dal nulla e neppure basarsi sul denaro come valore fondante, come purtroppo oggi sta succedendo con il paradigma sempre più frequente: Internet = soldi.

La New Economy nascerà dalla trasformazione della Old Economy, con essa si affermeranno nuovi valori etici e organizzativi, e le dotcom sorte con il solo obiettivo del facile guadagno saranno allora tulipani sfioriti della tulip-economy.