La rubrica “Svizzera chiama Italia: dialoghi sulla democrazia del futuro” è curata da due connazionali emigrati nella patria della democrazia diretta moderna. Saranno loro a raccontarci con una serie di post qui sul Blog delle Stelle il modello democratico adottato in Svizzera e cosa significa vivere in un Paese che crede nella partecipazione attiva della cittadinanza.
Leonello: Nel post precedente abbiamo visto che, sebbene la Svizzera possa essere considerata la patria attuale della Democrazia Diretta, l’Italia ne è stata in passato una precorritrice: dalla Roma antica nella quale le leggi approvate dal Senato dovevano essere ratificate dalle assemblee cittadine, ai comuni medioevali dove negli “Arengo” o i “Concio” i cittadini esercitavano il potere legislativo e che hanno probabilmente influenzato anche la Svizzera. Cosa è rimasto di quelle esperienze del passato nella nostra odierna Costituzione?
Maurizio: Considerando che la nostra Costituzione ha cento anni in meno di quella Svizzera, direi che non siamo messi così male. A livello nazionale infatti abbiamo ben tre strumenti a nostra disposizione e altri stanno nascendo in questi ultimi anni in molti comuni grazie alla caparbietà di piccoli gruppi di cittadini. Come vedremo, però, non sempre è sufficiente disporre di uno strumento di democrazia diretta per poter veramente incidere nel processo legislativo.
Leonello: Dici bene, Maurizio: in Italia la democrazia diretta moderna esiste già, ed alcuni dei suoi strumenti sono previsti nella nostra Costituzione, ma abbiamo ancora parecchia strada da percorrere soprattutto per quanto riguarda le procedure. Partiamo da un elenco. A quali strumenti costituzionali facevi riferimento?
Maurizio: Mi riferivo agli strumenti definiti dagli articoli 71, 75 e 138 della nostra Costituzione, vale a dire la legge di iniziativa popolare, il referendum abrogativo e il referendum confermativo.
L’articolo 71 dà la possibilità anche ai cittadini di presentare una proposta di legge raccogliendo 50.000 firme ma non accenna affatto a se e come questa proposta debba essere discussa ed eventualmente integrata nell’ordinamento.
Leonello: A questo proposito permettimi di ricordare cosa capitò alle leggi di iniziativa popolare per le quali raccogliemmo con grande successo le firme durante il V Day. Era il 2007 e in occasione del V-day organizzato da Beppe Grillo in tante città italiane e all’estero vennero raccolte non 50.000 firme, come richiesto, ma 7 volte tanto nel giro di due giorni! Si trattava di tre proposte di legge: “Due mandati poi a casa” che intendeva fissare per tutti i parlamentari il limite di due legislature; “Ridateci le preferenze” per la reintroduzione del voto di preferenza nella legge elettorale; “Parlamento pulito”, l’unica sulla quale il Parlamento fece qualcosa, anche se diversamente da quanto richiesto. La proposta si prefiggeva di introdurre il divieto di candidatura per i condannati anche non in via definitiva per reati non colposi con pene superiori a 10 mesi e 20 giorni. Dal 2012 la legge Severino vieta la candidatura di persone condannate in via definitiva, ma niente è stato fatto riguardo le altre due proposte di legge. In ogni caso mai prima d’allora si raccolsero così tante firme e in così poco tempo grazie esclusivamente al passaparola tramite il web. Il segnale dalla popolazione fu piuttosto chiaro in quell’occasione ma per lo più le proposte di legge di iniziativa popolare non vengono votate né tantomeno discusse in Parlamento e rimangono a prendere polvere negli archivi parlamentari.
Maurizio: E qui tocchiamo un primo punto dolente riguardo questo strumento: purtroppo, finora su 260 leggi di iniziativa popolare che hanno raccolto le firme necessarie, soltanto 112 sono state discusse in Parlamento e solo 3 approvate da esso. Il Parlamento non aveva infatti alcun obbligo di discutere una legge di iniziativa popolare entro un tempo massimo. Parlo al passato perché dal 2018, se la legge di iniziativa popolare è presentata al Senato, le Commissioni hanno l’obbligo di esaminare il testo e infine calendarizzare la discussione in Assemblea entro tre mesi. È già un bel passo avanti ma occorre proseguire.
Leonello: Lasciami sottolineare altri due aspetti cruciali: l’iniziativa popolare è in qualche modo tarpata sia dalla modalità di raccolta delle firme (su fogli stampati in uno specifico formato e vidimati da personale dei tribunali o dei Comuni, solamente in luoghi pubblici, previa autorizzazione e alla presenza di un Pubblico Ufficiale competente in quel territorio, ecc…), tanto che nel 2019 il “Comitato per i diritti umani” dell’ONU ha chiesto ai governanti italiani di intervenire e modificare “le leggi e le procedure per ottenere referendum in Italia” in quanto “sono indebitamente restrittive, arbitrarie e nel complesso irragionevoli“. Ma oltre a questo c’è il fatto che, nel caso delle leggi di iniziativa popolare in Italia, è il Parlamento ad avere sempre l’ultima parola e, come se non bastasse, nemmeno è obbligato ad esprimerla. Presto vedremo la differenza con lo strumento corrispondente svizzero.
Maurizio: Proseguiamo allora la carrellata degli strumenti “italiani”. Il secondo è quello descritto dall’articolo 75, vale a dire il referendum abrogativo: 500.000 cittadini con diritto di voto possono anch’essi richiedere una votazione nazionale sull’abrogazione totale o parziale di una legge che non riguardi però le tasse, il bilancio, un’amnistia o un indulto e nemmeno i trattati internazionali. E anche qui, oltre al problema della raccolta delle firme raccogliere le firme in quella maniera bizantina che hai descritto e che è uno scandalo anche a livello internazionale, qualche altro bastone tra le ruote è stato inserito …
Leonello: Purtroppo sì. Non bastano in effetti 500.000 firme autenticate per indire automaticamente una votazione. La Corte Costituzionale è chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità del referendum, non solo per verificare non si tratti di uno dei temi da te menzionati, ma anche per stabilire la legittimità del testo. E un’altra enorme differenza rispetto alle votazioni svizzere è la presenza del quorum del 50% degli elettori più uno per poter ritenere valido l’esito della del referendum. In questo modo i sostenitori dell’abrogazione non devono solo lottare con i contrari alla loro proposta ma anche contro l’astensione
Maurizio: Ed infatti su 67 referendum abrogativi arrivati in votazione quasi la metà (28) non ha raggiunto il quorum.
Leonello: Le conseguenze del “quorum di partecipazione” esistente in Italia sono molto gravi: accade che esso, di fatto, attribuisca il “potere legislativo” a chi si astiene. Così facendo si nega in pratica la libertà di astenersi, dato che astenersi equivale a votare “NO”. In Svizzera non c’è quorum e questo consente ai cittadini svizzeri di astenersi quando non hanno idee chiare e precise, senza con questo determinare l’esito della votazione. Per questo la Commissione di Venezia che studia gli strumenti di democrazia e fornisce utili suggerimenti sui temi della democrazia e della democrazia diretta, raccomanda “Quorum zero” o eventualmente un “quorum di approvazione”, che non tiene conto degli astenuti, e non un “quorum di partecipazione”, oltretutto molto alto, come in Italia.
Maurizio: Il terzo strumento a livello nazionale è descritto dall’articolo 138 che stabilisce che un referendum confermativo di leggi costituzionali o di revisione della Costituzione possa essere richiesto oltre che dai Parlamentari o dai Consiglieri Regionali anche da 500.000 cittadini, sempre tramite una raccolta firme. Ma anche qui lo strumento ha una limitazione: questa volta non si tratta del quorum, inesistente in questo caso, bensì dell’impossibilità di richiedere il referendum nel caso il Parlamento approvi la legge costituzionale nelle seconde votazioni nelle due Camere con una maggioranza di due terzi o più.
Leonello: Nuovamente i cittadini vengono relegati ad un ruolo di secondo piano rispetto ai parlamentari. Al contrario le leggi che concernono i legislatori, come le modifiche costituzionali, le leggi elettorali ed altre ancora, dovrebbero passare al voto popolare obbligatoriamente, anche senza raccolta di firme, come avviene in Svizzera dove esiste lo strumento detto “Referendum obbligatorio”. Chi è stato eletto si trova, oggettivamente, in condizioni di autoreferenzialità rispetto a alcuni tipi di decisioni. Se fosse esistito il referendum obbligatorio quel tale che andò alla televisione a dire “la mia legge è un porcata” si sarebbe risparmiato la brutta figura: il Parlamento la “porcata” gliel’aveva votata, ma forse i cittadini l’avrebbero bocciata.
Tornando al tema del quorum, trovo interessante il fatto che hai citato: i referendum costituzionali non prevedono alcun quorum. Molti italiani si sono talmente abituati all’esistenza di questo “filtro” del quorum applicato all’espressione delle volontà popolare da sostenerne l’esistenza. Raccomando a tutti di considerare che se le modifiche costituzionali non prevedono nessun quorum sia in Svizzera che in Italia, come anche in molti altri paesi, la stessa regola potrebbe valere anche per i referendum di abrogazione delle leggi ordinarie italiane.
Maurizio: Almeno a livello locale abbiamo qualche arma meno spuntata?
Leonello: Dei passi avanti si stanno facendo: diversi comuni si stanno attrezzando con strumenti di democrazia diretta. E gli strumenti vengono usati: nel comune di Malles, in Val Venosta, alcuni anni fa hanno vietato l’uso dei pesticidi, battendo la Svizzera sia nei tempi che nei risultati. E non si tratta solo di piccoli comuni! La città di Roma nel 2018 ha adottato nuove disposizioni da fare invidia alle città svizzere. Anche a Milano c’è chi si batte per introdurre strumenti simili. Diversi gruppi ed associazioni di cittadini sono attivi in diverse città.
Maurizio: Abbiamo menzionato la Svizzera più volte. Credo sia ora di entrare nel dettaglio degli strumenti che sono a disposizione dei cittadini svizzeri. Soprattutto vorrei che facessimo notare le differenze procedurali che semplificano la vita agli iniziativisti e amplificano il potere in mano al popolo.
Bibliografia
Sugli autori
- Leonello Zaquini, classe 1946, è emigrato in Svizzera dal 1997. Ingegnere. Eletto nel Consiglio comunale della città di Le Locle, cantone di Neuchâtel. A lungo presidente di un circolo di emigrati, la “Colonia Libera Italiana”. Originario di Iseo (Brescia), per molti anni è stato un tecnico e un manager industriale nel settore dell’automazione e delle macchine utensili a Torino. Ora è Professore Onorario della HE-ARC- Ingegnerie, University of Applied Sciences Western Switzerland e imprenditore. Ha contribuito alla redazione della legge costituzionale di iniziativa popolare “Quorum zero per più democrazia” depositata nel Parlamento italiano nell’agosto 2012. Da anni partecipa al gruppo di studio e riflessione “Atelier pour la démocratie directe” animato da Andreas Gross e, in Italia, presenta la democrazia diretta in conferenze e seminari ed è membro fondatore dell’associazione “Piu-democrazia-Italia”. Autore del libro “ La democrazia diretta vista da vicino” Ed, Mimesis.
- Maurizio Manca è nato a Torino nel 1978 ed è emigrato in Svizzera nel 2007. È un informatico ma i suoi interessi spaziano dalla Politica alla Scienza, l’Ambiente e la Mobilità sostenibile. Ha lavorato presso il CNR, per una startup italiana, per una multinazionale americana, per la Polizia Cantonale Vodese e ora nel mondo bancario. Ha fondato a Ginevra un’associazione culturale rivolta in particolare alla comunità italiana grazie alla quale organizza spettacoli teatrali e conferenze su temi di impegno civile, scienza e cultura italiana. È un esperto di strumenti digitali di partecipazione ed è stato animatore del Comitato svizzero per il No al Referendum costituzionale del 2016.