Il dibattito all’interno del PD su “voto digitale sì o voto digitale no” mi ricorda la paranoia che si sviluppò all’inizio del 19esimo secolo nei confronti del treno.
Fiorirono articoli e documenti scientifici che affermavano che se le persone fossero state trasportate a velocità superiore alle 20 miglia sarebbero morte soffocate o si sarebbero rotte le ossa. Non andò meglio quando Aldo Manuzio diffuse libri piccoli e maneggevoli che non avevano più bisogno di pulpito o leggìo e che chiunque poteva portare con sé in una tasca. Un giudice veneziano condannò quell’innovazione dichiarando: “la penna è una vergine, la stampa è una put***a”. Il treno e il libro avevano, infatti, una caratteristica comune ed estremamente “pericolosa” per guadagnare così tante esternazioni di affetto. Rendevano possibile modificare l’organizzazione del potere.
Cosa sarebbe accaduto dando alle classi inferiori la possibilità di muoversi liberamente e di accedere così a nuove opportunità? Come i leader politici e religiosi che, fino ad allora avevano mantenuto saldamente il controllo della penna, avrebbero potuto limitare l’espressione di idee di ogni singolo autore di un libro?
La preoccupazione delle élite non era ovviamente per le tecnologie in sé, ma per le praterie che avrebbero aperto come il permettere di rovesciare un ordine sociale che invece doveva rimanere immutabile o di accedere a un’informazione libera e, per questo, non più controllabile.
Oggi il voto digitale suscita le stesse reazioni. I detrattori elencano paure e pericoli di ogni tipo, ma per un motivo specifico. Il voto digitale ha un vantaggio che lo rende spaventoso per chi, in una comunità, vuole esercitare il potere dall’alto: abilita la possibilità a numeri elevati di persone di poter intervenire SEMPRE e su TUTTE le decisioni senza dover delegare la scelta a poche persone chiuse in una stanza.
I costi esigui rispetto a un voto in presenza, la maggiore accessibilità che amplia la platea di votanti e le garanzie di sicurezza ormai raggiunti rendono il voto digitale uno strumento che – a differenza del voto fisico – può essere integrato nelle nostre abitudini quotidiane, come aprire un conto in banca o farsi arrivare una pizza per la cena.
Quale sarebbe l’effetto? Se il voto digitale diventasse una opportunità sempre disponibile le persone inizierebbero a chiederlo non solo per eleggere il segretario, ma anche per decidere il programma elettorale o la posizione su determinati temi. Uno spazio di democrazia interna – per alcuni – terrorizzante.
Tra qualche anno rileggeremo gli articoli sul voto digitale e sorrideremo, come avvenuto per il treno o per il libro, nel guardare chi, anziché cavalcare il cambiamento, si illudeva ingenuamente è anacronisticamente di poterlo fermare.