Uno dei primi settori impattati dalla produttività dell’Intelligenza Artificiale potrebbe essere proprio l’editoria. Gli scioperi degli scrittori di oggi assomigliano molto a quelli dei tessitori contro il telaio a vapore durante il 1800 o la protesta dei minatori inglesi a fine 1900 contro la chiusura delle cave di carbone in favore del più economico gas. Il senso dello sciopero è ovviamente il disagio che provano queste persone vedendo la propria professionalità rimpiazzata da qualche automatismo. Con le parole di Scott Galloway “They screamed at change, but progress wouldn’t listen”.
La soluzione non può essere quella luddista di evitare il cambiamento che qualche concorrente inevitabilmente attuerà mettendo fuori mercato le aziende più conservative che arriveranno a licenziare tutti i propri dipendenti e non solo alcuni.
In Germania il Bild, il giornale più venduto in Europa, ha annunciato un piano per il taglio di 200 persone e la chiusura di due terzi dei propri uffici locali in seguito ad investimenti in Intelligenza Artificiale. L’editore, Alex Springer, ha comunicato all’azienda che “i lavori di redattori, correttori di bozze e altri lavori legati alla produzione della stampa non esisteranno più come li conosciamo oggi.”
In passato per evitare le conseguenze degli scioperi si accumulava prodotto prima di innescarne la reazione, come fece la Thatcher che accumulò grandi riserve di carbone prima degli scioperi del 1984. Oggi l’industria dell’editoria non ne ha neanche bisogno trovandoci tutti nella situazione già oggi di non riuscire a vedere tutti i film di Netflix, Now e Prime Video nella nostra intera vita. Dal punto di vista del giornalismo sopravvive quello di inchiesta gestito tuttavia da una piccola parte degli impiegati, mentre la riscrittura delle notizie battute dalle agenzie può essere (quasi) completamente automatizzata.
Ripercorrendo la storia sappiamo già che gli scioperi non avranno successo, le aziende nostalgiche del calamaio chiuderanno, e che nasceranno nuovi modelli di business interpretati da outsider. Non è un caso quindi che il ceo di Amazon abbia acquistato il Washington Post già dieci anni fa, che Apple voglia i diritti della Premier League, o che i più giovani dedichino più tempo a Tiktok che alla TV.