Abbiamo misurato l’intelligenza nell’ultimo secolo con uno strumento inventato da uno psicologo francese, Alfred Binet: il Quoziente Intellettivo. Dal primo test somministrato nel 1905 alla fine dello scorso secolo vigeva la legge di Flynn che aveva notato che era necessario rendere sempre più difficili i test di anno in anno perché migliorava l’intelligenza media delle persone. Le ragioni erano da attribuirsi soprattutto ad una migliore alimentazione e un percorso scolastico sempre più prolungato.
Ma questo oggi non è più vero. Dagli anni Novanta abbiamo iniziato a perdere qualche punto ogni decennio. A prima vista sembrerebbe che abbiamo raggiunto il nostro potenziale di intelligenza come specie.
Tuttavia è qualcosa di diverso che sta succedendo. Stiamo evolvendo la nostra intelligenza per lavorare con capacità computazionale e di memoria esterna al nostro cervello. Non ricordiamo più i numeri di telefono a memoria, non impariamo più la strada per una nuova destinazione, non facciamo più calcoli complessi a mente. Esistono i cellulari, i navigatori e i nostri pc per tutte queste attività.
La stessa cosa è già successa con le rivoluzioni industriali che hanno permesso di superare la necessità di ricorrere alla schiavitù prima e poi a limitare la richiesta di lavoro manuale successivamente. Ad inizio ‘900 era normale per i muratori sollevare 100 Kg di cemento, oggi ci siamo dati delle regole che i sacchi non possono pesare più di 25 Kg. Per pesi superiori possiamo ricorrere alle macchine.
Ci stiamo evolvendo, ma non come pensava Darwin.
Ne ho parlato nel mio libro Gli Algoritmi del Potere. Come l’Intelligenza Artificiale riscriverà la politica e la società. (ed. Chiarelettere) https://amzn.to/3R3D4jT