“L’acqua non è una merce.”
Ripetetelo allo specchio ogni mattina: vi darà consapevolezza.
I numeri parlano e ci sussurrano dati che non vogliamo ascoltare. Un miliardo di persone non ha acqua potabile. Un milione e ottocentomila bambini muoiono ogni anno per malattie causate dall’acqua inquinata. Dove va l’acqua? Una tazza di caffè richiede 140 litri di acqua, un paio di jeans 11.000 litri, un’automobile 400.000 litri. E solo il 3% dell’acqua del pianeta è potabile.
In Italia l’acqua è una risorsa finanziaria e, quindi, viene privatizzata. Dove prima c’era una sorgente, una fontana pubblica sono arrivati gli imprenditori. I mercificatori dell’acqua. Un bene primario si è trasformato in azioni, in asset, in profitto. L’acqua deve restare in mani pubbliche, le nostre mani. Se non funzionano gli acquedotti pubblici, se sono bucati, vanno riparati, anche a calci nel c..o. I privati devono starne fuori.
Pubblico parte della lettera ricevuta dal presidente di Greenpeace Italia.
“La Direttiva 60/2000 dell’Unione Europea recita: “..l’acqua non è un prodotto commerciale, bensì un patrimonio che va protetto”. L’incultura dell’acqua in Italia, porta a consumare 170 litri di acqua imbottigliata per abitante all’anno, contro una media europea di 85 ed una mondiale di 15, equivalenti a 5 miliardi di contenitori plastici che si trasformano in 100.000 tonnellate/anno di rifiuto urbano.
L’acqua imbottigliata, assoggettata a regimi di controlli spesso lacunosi, ha un costo tra 30 e 50 centesimi, cui si sommano i costi di smaltimento del contenitore, mentre 1.000 litri di acqua da acquedotto, più controllata sul piano chimico-batteriologico, non costano più di 1 euro. Gli italiani dichiarano che alla base di questo paradosso c’è la convinzione che l’acqua imbottigliata sia più sicura ( 51% ), più “buona” (35%), meno “dura” (14% ).
Il nostro Paese è ricco di acquiferi sotterranei, tra i 5 e i 12 miliardi di metri cubi. Ciò nonostante, la crisi idrica è alle porte in tutto il Paese, anche come effetto del cambiamento climatico globale, che vedrà l’aridificazione nel Centro-Sud e la sub-tropicalizzazione nel Nord.
L’origine di questa scarsità annunciata?
– decennale incuria e mancata manutenzione delle reti con un livello di dispersione variabile tra il 30% della Emilia-Romagna e più del 50% dell Acquedotto Pugliese
– inquinamento dei fiumi da parte di insediamenti industriali, attivi e dimessi, ed urbani, in spregio ad ogni normativa, anche per la totale aleatorietà dei controlli ambientali
– insostenibile idroesigenza di un settore primario caratterizzato per decenni da monocolture intensive e da tecniche irrigue (es. a pioggia) dissipatrici di oltre il 30% dell’acqua erogata
– mancata generalizzazione di apparati per la minimizzare i consumi a parità di prestazione, a livello dei consumi domestici. L’eccellente esperienza condotta al riguardo a Bagnacavallo in Emilia Romagna ha mostrato come questa sola misura, il cui bassissimo costo (2-3 euro/abitante) si ripaga con i certificati bianchi per la minore spesa energetica del servizio idrico, consenta di ridurre i consumi familiari di almeno il 10-12 %.”
Walter Ganapini, Presidente Greenpeace Italia