Sin dall’inizio degli incontri con il Pd, era stata annunciata una consultazione on line che avrebbe approvato o respinto un eventuale accordo finale. Pertanto, avremmo voluto sottoporre a questa consultazione un testo preciso che, al contrario, manca. Nell’incontro di giovedì 17 noi ci saremmo attesi che, con la stessa chiarezza e disponibilità con la quale avevamo accettato le esigenze del Pd in tema di governabilità, il Pd avesse manifestato analoga apertura sui temi delle preferenze, delle clausole di sbarramento e del premio di lista e non di coalizione, oltre che in tema di “Parlamento pulito“. Al contrario, il Pd ha “incassato” l’apertura del M5s senza dare alcuna risposta chiara ma buttando avanti generiche disponibilità a discutere e subordinando, comunque, l’accordo alla disponibilità “degli altri” (cioè di Forza Italia). Ci sarebbe dovuto essere un successivo incontro per chiarire i troppi punti in sospeso, poi, l’assoluzione di Berlusconi ed il conseguente rafforzamento del patto del Nazareno – come è emerso anche dalle dichiarazioni dei dirigenti del Pd – hanno gettato una diversa luce sulla tattica dilatoria attuata dal Pd dopo il primo incontro. Vogliamo dare ai cittadini la possibilità di avere una legge elettorale nata dal confronto tra le due principali forze politiche del Paese, e non dagli accordi segreti presi con un condannato. Per fare questo occorre che da parte del Pd ci sia trasparenza e serietà. Premessa: il limite posto dalla Corte Costituzionale; come dichiarato dall’inizio, il M5s accetta l’idea di un premio di maggioranza (indirettamente previsto nello stesso “democratellum”) solo a condizione che esso risulti compatibile con i limiti di costituzionalità fissati dalla Corte Costituzionale che, con la sua sentenza di gennaio, ha bocciato la Legge Calderoli (il “Porcellum), ritenendo non ragionevole e lesivo del principio di rappresentanza un premio che ha trasformato una quota elettorale del 29,5% in un 54% dei seggi. La Corte non ha precisato ulteriormente il suo pensiero in materia, pur ritenendo che il Parlamento possa fissare un ragionevole limite di disrappresentatività per favorire la governabilità, ma, dalla sentenza si ricavano due indicazioni implicite: 1. La questione del doppio turno: in questo quadro si comprende come il doppio turno, in sé manipolatorio della volontà dell’elettorato (in quanto affida a quanti avevano votato per partiti diversi dai due in lizza, il giudizio sul vincitore), diventa un ulteriore elemento distorsivo, che aggrava la situazione. Infatti, per definizione può accadere che il ballottaggio venga vinto da chi era arrivato secondo nel primo turno, magari con percentuali molto basse, come in molti comuni, dove ha vinto il ballottaggio un candidato che aveva ottenuto solo il 18-19% dei voti al primo turno e si è visto attribuire il 60% dei seggi, cioè più del triplo della sua quota elettorale. Questo può essere accettabile per elezioni amministrative ma non per elezioni politiche, dove il principio di rappresentatività deve essere ben più rigido per le ben diverse attribuzioni di potere dell’organo eletto. 2. La proposta attuale: Allo stato attuale, l’Italicum prevede un premio del 15% al primo turno nel caso una coalizione ottenga almeno il 37,5% (con che conquisterebbe il 52% dei seggi) ed assegna il 52% dei seggi, comunque, a chi vinca il secondo turno, attribuendo, quindi un premio sicuramente superiore al 15% e potenzialmente molto maggiore anche al 24,5% che era parso eccessivo alla Corte Costituzionale. Per cui siamo in piena incostituzionalità della legge. Negli incontri (e nella prima lettera inviata dal Pd) la delegazione del Pd, per bocca del suo segretario, ha ripetutamente parlano di un premio non superiore al 15% sia per il primo che per il secondo turno, pur volendo assicurare la maggioranza assoluta al vincitore. Il punto non è chiaro ed i conti non tornano: se si vuole assicurare la maggioranza assoluta in ogni caso, il premio non può essere limitato al 15%, se, vice versa, non si vuole superare la quota del 15% non si può garantire che il vincitore abbia la maggioranza assoluta. E’ un punto che va chiarito. Il M5s è disponibile ad accettare un premio di maggioranza in quota fissa (il 15% pari a 94-95 seggi) oppure un premio finale che assicuri la maggioranza assoluta al vincitore, ma a condizione che si stabilisca una soglia minima per poterlo ottenere (cioè che il partito vincente abbia ottenuto almeno il 35% dei voti al primo turno). 3. L’entità del premio e le garanzie costituzionali: strettamente in relazione all’entità del premio sono anche tre questioni molto delicate: la maggioranza qualificata con la quale si può modificare la Costituzione senza referendum popolare, l’elezione del Presidente della Repubblica e dei giudici costituzionali. Con una maggioranza precostituita del 52-54% ed in presenza della riforma del Senato che si prospetta, diventa concretissimo il rischio, che i Costituenti avevano voluto evitare, dell’ “Asso prende tutto”. La maggioranza, senza molto sforzo potrebbe appropriarsi dei 5 giudici costituzionali di nomina parlamentare, poi del Presidente della Repubblica che, a sua volta, potrebbe nominare 5 giudici dello stesso indirizzo e, con questo, produrre una maggioranza precostituita anche nella Corte. Dunque, per evitare questo rischio occorre “mettere in sicurezza la Costituzione”: il premio di maggioranza è accettabile solo se accompagnato a diversi meccanismi di garanzia costituzionale come rivedere la titolarità del potere di elezione dei giudici costituzionali o le maggioranze richieste, altrettanto per il Presidente della repubblica e per il processo di revisione costituzionale. 4. Le preferenze: sin dalla sua fondazione il M5s ritiene qualificante il ritorno all’elezione dei deputati attraverso il metodo delle preferenze che è ritenuto qualificante anche dalla sentenza della Corte Costituzionale. Si è fatta presente l’esigenza di evitare la degenerazione del voto di preferenza in senso clientelare (anche se, per la verità, questo metodo resta in vigore per il Parlamento Europeo, per i comuni e per gran parte delle Regioni) ed il M5s si è fatto carico di tale preoccupazione indicando un possibile rimedio nel sistema del voto disgiunto fra voto di lista e voto di preferenza. 5. Coalizioni e clausole di sbarramento: il M5s ha segnalato l’opportunità di assegnare l’eventuale premio di maggioranza al singolo partito e non alle coalizioni, che spingono a grandi ammucchiate prive di sostanziale unità politica che, dopo il voto, si sciolgono rapidamente. Ma perché questa misura sia efficace, occorre completarlo eliminando le soglie di sbarramento o, ridurle a valori minimi (l’1%) perché diversamente, quello che è uscito dalla porta rientrerebbe dalla finestra: i piccoli partiti a rischio quoziente si vedrebbero costretti ad entrare nelle liste di quelli più grandi, sacrificando la loro visibilità alla certezza di rientrare in Parlamento. Ed, in questo modo, sarebbero le liste di partito a diventare, di fatto, coalizioni. Abolire le clausole di sbarramento significa assicurare a tutti la possibilità di accedere alla rappresentanza senza sacrificare la propria visibilità, scongiurando, quindi,. La formazione di liste omnibus. 6. Soglie di sbarramento ed effetto di sommatoria: C’è poi un secondo aspetto da considerare, le soglie di sbarramento diventano un modo surrettizio per accrescere il premio di maggioranza, infatti, anche fissando al 2% la soglia, se ci fossero 7-8 partiti che ottenessero in media l’1,5%, questo vorrebbe dire che ci sarebbe un 10-12% di seggi non assegnati che andrebbe ai partiti maggiori ed, in primo luogo, al partito vincitore, il cui bottino elettorale si accrescerebbe di un buon 5-6% avvicinandosi pericolosamente alla sogli per la revisione costituzionale. Per di più lo sbarramento non avrebbe alcun effetto ai fini della governabilità, in presenza di un sistema che già garantisce una maggioranza di governo. Ed, infine, questo aumenterebbe la disrappresentatività del sistema che più facilmente andrebbe incontro ad una bocciatura da parte della Corte. Torneremo al tavolo non appena avrete risposto ai nostri 6 punti. Fate presto. Le riforme, come voi dite da sempre, non possono più aspettare. Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera
Quindi, onde evitare ulteriori perdite di tempo e spettacoli inconcludenti come l’ultimo streaming, ora è necessario che Renzi e il Pd rispondano per iscritto ai 6 punti del MoVimento 5 stelle di seguito riportati:
a) il premio non è ragionevole se non è espresso in una quota fissa (ad es. il 15%) e contemporaneamente non fissa una soglia minima per ottenerlo (ad esempio il 40%), per cui può arrivare a qualsiasi valore. Nel caso specifico il premio era stato di circa il 24,5% che possiamo assumere come valore limite al di là del quale esso diventa irragionevole
b) il premio non è neppure ragionevole se equivale o, addirittura supera la quota di seggi spettanti nella quota proporzionale. Insomma, non è possibile che il partito A che abbia ottenuto il 25% dei voti ottenga il doppio dei seggi o più.
Dunque, per restare nei limiti della sentenza della Corte, occorre preliminarmente stabilire o una soglia minima per ottenere il premio (ad esempio il 35%o 40%), oppure fissare il premio in una cifra fissa (ad esempio 95 o 100 seggi).
Danilo Toninelli, Portavoce M5S Camera
Paola Carinelli, capogruppo M5S Camera
Vito Petrocelli, capogruppo M5S Senato
Beppe Grillo
Gianroberto Casaleggio